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Nell’ ombra di Brexit

di Luigina Sheffield
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ombra-brexitE così adesso siamo “in limbo”, nell’ ombra generata da Brexit prima ancora che sia effettivamente iniziata. Il referendum, con la sua campagna fatta di retorica populista e aggressività, è ormai passato. Come tutti sanno, il “Leave” ha vinto e in una settimana la Gran Bretagna è cambiata come un calzino rivoltato. O forse non è cambiato nulla, ma tutte le fratture che erano già presenti sono finalmente visibili ad occhio nudo.
Via il governo e via David Cameron dopo aver portato il suo paese sull’ orlo del disastro economico e sociale per un giochetto elettorale; via Boris Johnson e Nigel Farage, due dei nomi “forti” della campagna a favore di Brexit che, al momento di affrontare il compito immane di rendere Brexit realtà, hanno abbandonato la nave, un po’ vincitori e un po’ perdenti, e si sono dati al cricket. Il Labour sta attraversando una guerra interna che da sola in tempi normali avrebbe riempito le pagine dei notiziari.

In pratica, la solida e affidabile politica britannica è diventata un misto tra un circo e una versione meno entusiasmante di “Game of Thrones”. Non c’è un piano per l’uscita, non c’è un piano per gestire gli immigrati UE in UK e quelli britannici nel resto d’Europa, la Scozia scalpita e ancora non sappiamo neanche quando inizierà la Brexit effettiva. Almeno se fosse davvero come in Game of Thrones, ci sarebbe stato un Tyrion Lannister a pensare ad una buona strategia.

Tutto scricchiola: non solo la politica, ma anche quella società multiculturale e inclusiva che, chiaramente, covava sotto la superficie delle vene di xenofobia che adesso stanno scorrendo liberamente sotto gli occhi di tutti.

Mi sembra assolutamente incredibile come in due settimane io e il mio compagno (entrambi immigrati EU in UK) siamo passati da voler comprare casa qua a discutere il piano A (come ottenere prima possibile un permesso di residenza permanente o addirittura la cittadinanza) e il piano B (come andarcene dalla Gran Bretagna entro due anni). E’ chiaro che le persone nella nostra situazione verranno usate dal futuro governo come “ostaggi” per la negoziazione dei futuri rapporti con l’Unione Europea, e personalmente credo anche che le regole per ottenere la residenza si restringeranno molto anche per coloro che sono arrivati qui anni prima di Brexit. Se, come è probabile, Theresa May diverrà la nuova Prime Minister, avremo a che fare con la persona che ha stabilito il reddito minimo annuale per gli immigrati extracomunitari a £35,000 all’anno (quando la media nazionale è £31,000). Dubito che sarà più generosa con noi.

Il Piano B è più difficile da realizzare visto che siamo in due e che il mio lavoro non è esattamente facile da trovare. Nonostante la difficoltà, il Piano B sarebbe per me quello migliore visto che la ricerca che faccio è pesantemente dipendente dai fondi Europei e dalla possibilità di collaborare facilmente con partner internazionali: prima di poter essere riammessi a partecipare nel programma quadro europeo (ammesso che si arrivi ad un accordo), ci vorranno anni di negoziazioni – anni in cui fare (bene) il mio lavoro in UK diverrà molto, molto difficile.

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Dalla campagna #blEUMonday

E mentre rifletto su tutto questo mi faccio mille domande che non mi sono fatta in quasi 20 anni: cosa faccio se non riesco a continuare a fare il mio lavoro? Cosa faccio se devo trasferirmi di nuovo? Dove andrei? Da mia mamma in Italia o in Irlanda dalla famiglia del mio compagno? O in un altro paese? Quale altro lavoro potrei fare se non riuscissi a trovarne un altro in un’ università?

Penso a coloro che hanno figli nati qui, magari con un compagno o compagna britannici, e per cui non è facile spostarsi altrove…E mi rendo conto di quanto il nostro futuro sia veramente appeso al filo dell’opportunismo politico di persone che, invece di preoccuparsi della “cosa pubblica”, si preoccupano solo del proprio tornaconto. Qualunque sia stata la vostra opinione sul referendum, è impossibile negare che abbia creato una situazione di paurosa incertezza. Anche nel “civile” continente europeo, nel suo Nord composto ed ordinato, non si può stare tranquilli.

L’altra sensazione difficile da descrivere è cosa io provi in questo momento per questa città e per questo paese: ho passato 4 anni veramente bellissimi in un posto splendido e con persone (inglesi e non) di grande intelligenza e generosità. Ma, allo stesso tempo, nella mia Sheffield ha vinto il Leave, e ora si moltiplicano i casi di persone aggredite verbalmente e fisicamente solo in virtù di essere immigrate o non bianche. È orribile e preoccupante. È come scoprire che una persona di cui ti fidavi in realtà non ti sopportava. So che è una generalizzazione, ma questo sentimento “di pancia” sembra che sia molto diffuso tra gli altri expats, e io stessa non lo avevo mai provato prima in 17 anni di vita da immigrata.

Cerco di pensare al lato positivo: magari questi avvenimenti saranno l’opportunità per un cambiamento in meglio, o magari tutto si risolverà prima e più semplicemente del previsto. Comunque sia, è innegabile che il vento stia cambiando. Non so ancora però in quale direzione.

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