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Quella mattina di novembre

di Giulia Robin
letto disfatto

Quella mattina di novembre

Perdere il lavoro e sapersi reinventare

letto disfatto

Quella mattina di novembre mi sono svegliata con la netta sensazione che la mia vita avrebbe preso una direzione del tutto inaspettata.

Ho lasciato il letto disfatto e mi sono avviata in cucina a preparare uno di quei caffè neri bollenti che mi aiutano a spazzare via le ultime ore della notte.

Felpa, jeans, scarpe, due linee di eyeliner e sono in macchina. Il sole oggi è meraviglioso. Se si vive in un posto come il nord della Germania (e dico nord di proposito) le poche volte che il sole splende sembra sempre di vederlo per la prima volta.

Non vado in ufficio da più di due mesi. Dal ponte sopraelevato si ammira tutta la città, a destra la parte vecchia col campanile storto, a sinistra quella più recente con le due case neo-moderne che sembrano delle lattine accartocciate. Sotto di me uno dei fiumi più lunghi e grigi d´Europa: il Reno.

Ho con me un cartone da trasloco, di quelli già usati che si fa fatica a chiudere. Dobbiamo svuotare gli scaffali e ripulire le nostre scrivanie perché ci trasferiamo in un altro edificio, uno più new age dove già lavorano altri impiegati dell´azienda. “Per risparmiare”, dicono. Ma io sono contenta, perché potrò finalmente abbandonare la vita da pendolare e abbracciare quella da ciclista che impreca contro i passanti che camminano sulle ciclabili, facendo del bene alla mia salute, al mio portafoglio, e anche all’ambiente.

Quella mattina di novembre avevo la sensazione che la mia vita avrebbe preso una direzione del tutto inaspettata. Quella direzione era scritta in times new roman 12 su di un foglio A4 intestato a me.

Oggetto: Licenziamento.

Non mi era mai capitato di perdere il lavoro. Sono stata senza lavoro, senza una prospettiva concreta, ma una volta trovato il mio posto nessuno me l’aveva mai portato via. Ho scritto due lettere di dimissioni, sarà forse il karma? Mentre leggevo, spostavo rapidamente lo sguardo da una riga all’altra come quando si sogna e a palpebre chiuse gli occhi sotto si muovono. Le parole erano scritte così chiare, da fare male alla vista, eppure sembravano tutte così dannatamente uguali.

Poi di colpo non ho visto più niente. E’ diventato tutto opaco, come un bicchiere rovesciato su un disegno. Non ci sono più bordi definiti, non si capisce se quella è una casa o un albero. Il cielo è diventato il pavimento e viceversa.

Sono uscita con un cartone da trasloco che racchiudeva 2 anni della mia vita e il mio cuore spezzato.

Il giorno dopo mi sono messa a pulire casa. Ho iniziato dalla cucina. Passavo la spugna bagnata in ogni angolo, anche in quelli che non vede nessuno. Spostavo ogni oggetto si trovasse in mezzo alle scatole, e strofinavo, e strofinavo fino a ritenermi soddisfatta. E mentre grattavo via lo sporco, pensavo a come grattare via il mio dolore. Perché quello era. Mi sentivo profondamente vittima di una grande ingiustizia, mi dispiacevo per me stessa.

“Povera ragazza con tutta la fatica che ha fatto. Il trasferimento, la lingua, la distanza da casa. Finalmente aveva trovato un lavoro che amava, anzi che la faceva impazzire, girare il mondo, conoscere gente, vedere posti, respirare profumi. E adesso guardala, sembra che le abbiano amputato un braccio”.

Un relitto, una nave affondata ricoperta di alghe che aspetta di essere ritrovata e riportata in superficie e vivere in eterno, darsi un senso. Per quanto estrema, è la descrizione più esaustiva del mio stato d’animo, dal momento che mi è bastato poco per capire che stavo diventando l´involucro di me stessa. Quello che resta del baco diventato farfalla.

Ho cominciato a fare pulizia anche dentro di me, spostando le cose che non avevo mai osato toccare, chiuse a chiave nell’ultimo cassetto in basso, per arrivare a grattare su quel fondo e scoprire che non era poi così male. Ho deciso che avevo tutto il diritto di arrabbiarmi, di non rispondere al telefono, di mangiare una volta al giorno, di fare incubi e vomitare dalla nausea. Ho lasciato che I giorni mi trascorressero addosso, che il tempo mi scivolasse sulla pelle come una doccia infinita, calda e incessante.

E’ successo che dopo un po´ quest’aurea si è trasformata in qualcosa di diverso, mi atteggiavo da appestata.

Ma chi volevo prendere in giro?

Io ho mollato la mia vita per costruirmene una a modo mio.

Ho mollato tutto, perché pensavo di meritare molto di più.

Ho fatto un patto con il diavolo e ho messo 900 km di distanza fra me e chi amo di più sulla faccia della terra, per la mia realizzazione personale,

e adesso sono qui a piangermi addosso, per che cosa esattamente? Perché non é giusto?

Benvenuta nella scuola della vita, Giulia, ora svegliati.

All’improvviso tutto ha riacquistato colore, forma e definizione.

Proprio come dopo la fine di una storia d’amore, ho raccolto i pezzi nel silenzio che di colpo mi circondava, ho fatto spazio facendo ordine e ho deciso di smettere di soffrire. Ho aggiornato il mio curriculum, raccolto le referenze che mi avevano promesso, e in un mese avevo un nuovo contratto in mano e un motivo in più per sorridere e pensare che, dopo tutto, quella mattina di novembre mi ha davvero cambiato la vita.

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4 Commenti

Emi 19/02/2021 - 07:56

Bellissimo!

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Maria Paola Soffiantino 19/02/2021 - 14:52

Brava!

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Silvia 19/02/2021 - 19:18

Grande!! 💪🏻

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cinzia gallastroni 22/02/2021 - 05:13

Meraviglia !
Non la perdita del lavoro ovviamente, ma come lo hai raccontato a noi.
Giulia, sicuramente tutto ha un suo risvolto e spesso è in positivo, resto in attesa di news e racconti sul nuovo lavoro …
Bru

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