Nuova Zelanda: alcune cose che ho imparato.
E’ tutto soggettivo: questo è il mio ‘personale’ manuale d’istruzioni 🙂
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Non c’è bisogno di spiegare e spiegarsi sempre, in ogni situazione: da quelle più stupide a quelle più complicate.
Forse solo a causa di un limite linguistico? Oppure no? Forse…ma intanto funziona! Credo, comunque, che i Neozelandesi sappiano vivere in maniera più semplice (nel senso buono del termine) almeno rispetto a noi italiani. Anche se non mi spiego o giustifico il lavoro va avanti, la conversazione va avanti, semplicemente si passa oltre. Tutte ci troviamo spesso nella situazione di dover spiegare un qualcosa a lavoro o ad un qualunque interlocutore…il limite della lingua in alcuni casi mi ha costretto al silenzio o semplicemente ad accettare la situazione e semplicemente passare oltre. Beh! Con mia sorpresa la maggior parte delle volte si va avanti senza neanche troppe incomprensioni. La giornata è più leggera. I Neozelandesi (detti anche Kiwi) sono molto più semplici di noi: ci si preoccupa meno di problemi inesistenti; per meno non intendo che siano un popolo perfetto ma “meno” inteso proprio come quantità, in effetti, hanno uno stile di vita meno legato alle etichette o al “se faccio così non è educato, se mi chiede questo non sarebbe bello rifiutare, sarebbe maleducato non dire o non fare…”. Per farla breve, molte meno turbe mentali in generale. Sì, decisamente la giornata scorre più leggera!
Una cena con gli amici? Niente di più facile, ti serve solo un barbecue, qualche birra e la serata è fatta. Non devi stare a pensare a cucinare per tutti, apparecchiare la tavola, a chiederti porteranno il dolce oppure lo devo fare? Oppure porteranno il dessert e devo pensare al vino? Qui ognuno porta qualcosa da magiare e bere, è la tipica situazione “Porto un paio di amici con me, ti dispiace? – Certo, porta chi vuoi! Più birra, più divertimento!”. Ognuno trova il suo posto non hai bisogno di imbandire la tavola e cucinare mezza giornata. Easy è molto più easy. Per qualcuno potrebbe sembrare ‘spartano’ in senso negativo ma, comunque, nessuno ti vieta di fare il pranzo di Natale con cristalli e porcellane se si vuole, ma, fidatevi, donne, intanto poter scegliere è una gran bella cosa.
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Lasciare le cose materiali e alcune manie di possessione per gli oggetti.
Il distacco dalle cose della mia routine in Italia, le cose che non ho semplicemente comprato ma che ho conquistato con il lavoro, con il tempo, con la fatica non l’ho accettato dopo aver fatto un mese di yoga o strane meditazioni o perché improvvisamente sono diventata più saggia. Più semplicemente (o non) le ho dovute lasciare fisicamente lontano da me dopo che il mio cervello ha razionalmente concluso (ma non veramente accettato) che non è possibile mettere la casa in cui ho vissuto per anni dentro una valigia o dentro qualche scatolone da spedire. Quindi ho inscatolato tutto con rabbia e dispiacere e messo da parte. Che è successo?
Dopo qualche tempo, che non so bene quantificare tanto è soggettivo e inutile farlo, è successo che mi sono dimenticata di quel mio fantastico oggetto oppure me lo ricordo molto bene ma l’ho sostituito, oppure ho scoperto che, nonostante mi piaccia sempre, posso vivere molto bene anche senza. Io la chiamo “reazione Ikea”: quando vedi delle cose all’Ikea e pensi a come hai fatto a sopravvivere senza fino a quel momento, la prendi, la usi una volta o due, e poi la ritrovi dopo due anni impolverata in qualche angolo della casa. E poi ti piace ancora ma diventi cosciente che, in realtà, non è indispensabile.
Ho imparato a vivere con altre cose, con cose nuove, con cose diverse, che poi diventano tue come quelle che hai lasciato e che puoi sostituire altre cento volte perché semplicemente sono solo cose. Qui in Nuova Zelanda poi il concetto del riciclo e dell’usato è molto importante e radicato. Non è assolutamente un problema o una vergogna comprare oggetti usati o venderne.
Ecco, tutto questo bel discorso vale per tutto tranne che per il nostro adorato bidet! Fatevene una ragione. Vi mancherà sempre.
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Mi butto: tanto non mi conosce nessuno!
Ecco, questo concetto che per me valeva come un vecchio signore che dice“si stava meglio quando si stava peggio” o lo zio che ti dice “chi fa da sé fa per tre”, almeno per me, lo sto amando alla follia. Dopo essermi trasferita posso pensare a me stessa come una “yes woman” (quasi sempre, quasi). Tranne che per gli sport estremi dove ho dei chiari e ovvi limiti fisici, mi è venuta voglia di provare un po’ tutto. Passando dai passatempo più piacevoli come puo’ essere il provare ad imparare a fare surf o tentare di capire il rugby o camminare scalza in strada, alle situazioni di lavoro che pensavo essere lontanissime da me, da quello che potevo o volevo fare. Un esempio pratico: lavorare nella cucina di un ristorante per me era come chiedermi di scindere l’atomo. Nonostante sia italiana sono sempre stata pessima in cucina ma, dopo aver adottato la filosofia del “Mi butto tanto non mi conosce nessuno!”, mi sono ritrovata proprio a lavorare nella cucina di un ristorante italiano dove sono l’unica italiana nonché la più inesperta. I primi tempi avrei infilato la testa nella friggitrice, con tanto di panatura; ambiente totalmente nuovo, esclusivamente maschile, con persone che ti parlano in inglese (lingua ancora un po’ ostica per me) e il tutto condito da accenti diversi perché anche loro stranieri e quindi con lingue diverse. Avete presente la tipica barzelletta “c’è un italiano, un tedesco e un cinese…”? Ecco, nel mio lavoro ci sono io, unica italiana, un indonesiano, due brasiliani, un coreano ecc. ecc. La vita non finisce mai di stupirti!
Non nego che ho pensato per più e più giorni “Perché sono qui? Perché sono qui? Perché sono qui? Ma che ca…spita sto facendo???”. Tutto questo mi ha portato ad interrogarmi molto su me stessa e su cosa voglio fare nella vita: nella vita da qui ai prossimi mesi perché sui progetti a lungo termine non spreco più energie, troppe variabili fuori dal mio controllo da gestire, ergo, mi pare inutile. Mi do piccoli obiettivi da raggiungere e accetto più volentieri anche i fallimenti o le mie contraddizioni quando cambio idea.
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La gestione della solitudine
Sicuramente è un aspetto che va affrontato quando sei lontano da “casa”. Si hanno più momenti di solitudine, soprattutto all’inizio, in virtù del fatto che non conosci nessuno. Anche qui, nonostante ci siano dei momenti tosti e negativi, sono stata felicemente sorpresa di scoprire quanto si può fare anche in solitudine e come se ne può anche godere.
Nel mio ambiente, nel mio paese mi sentivo più annoiata, inconsciamente e paradossalmente si ha meno interesse a scoprire il territorio e le attività che ti si offrono. Una volta arrivata in un paese del tutto nuovo mi sono ricordata che volevo provare a fare boxing allora mi metto a cercare la palestra più vicina per farlo. Poi mi viene voglia di imparare a lavorare la ceramica e cerco informazioni su questo. In Italia non lo facevo, non so bene neanche il perché. Non so esattamente per quale motivo rimandavo sempre, e non è questione di avere più tempo o meno. La vita in Nuova Zelanda è più semplice e per questo anche più prevedibile, ma in questa ‘prevedibilità’ che per me non è affatto noiosa sono io a crearmi l’imprevedibile e il diverso. In Italia, paradossalmente, tanta era la confusione che mi sentivo mangiata dagli imprevisti e dai fuori programma. Quindi non riuscivo bene a crearmi i miei spazi.
In conclusione, cerco di tenermi occupata e posso dire che sui momenti di forte solitudine e nostalgia ci sto ancora lavorando. Al momento non ho particolari tattiche oltre a telefonare alla persona a cui sto pensando ma la fregatura è che spesso devo fare i conti con il fuso orario e quindi capita che non posso chiamare. Su questo punto ancora sono nella confusione totale: tutte emozioni e sentimenti aggrovigliati e ancora non ho trovato la coda o il capo della matassa.
Quando avrò decodificato qualcosa e potrò scrivere due righe di senso compiuto in merito a ciò ve lo farò sapere…
Chi sono
5 Commenti
brava davvero hai colto nel segno come tanti expat che vivono qui da anni!
se ti va un caffè ed una chiacchiera il 17-18 dec sarò a tauranga x lavoro, give us a shout!
buonagiornata
Luca
Grazie Luca. Ci vediamo domenica allora!
È vero! Anche da solo trovi sempre qualcosa da fare e non sei mai solo.
Ho 51 anni da 1 vivo in NZ è mi sto ancora chiedendo, perché non ci ho pensato 20 anni fa?
Ciao Eemanno, anche io mi chiedo spesso perché ho aspettato 34 anni e non sono partita a 18 o a 20 anni; avrei fatto più… mi sarei sentita meno…bla bla bla. È andata così ed è inutile starci a pensare. Ma ci penso anche io, comunque!
Mi sono ritrovata in tutto ciò che hai scritto. Sono stata per tre mesi in Nuova Zelanda (bay of Islands) l’anno scorso, con lo scoop di cercare lavoro. Ero a casa di parenti, che vivono in campagna, per cui mi è stato difficile trovare lavoro – almeno del tipo che cercavo e con sponsorizzazione da parte dell’azienda. Delusa, sono rientrata in Europa. Ma la NZ l’ho sempre nel cuore, per tutte queste cose che hai enumerato. Se dovessi riassumere tutto in una parola sola direi : “libertà”.