“Che il vento del cambiamento soffi fiero sulle vostre vele e vi porti in luoghi nuovi dove crescere, immaginare, sperare!”
— Stephen Littleword —
Una delle peculiarità del trasferirsi all’estero è, senza dubbio, quella io chiamo “la sindrome della prima volta”.
C’è una prima volta per tutto e così lo è stato naturalmente anche per noi.
Dalle cose più banali, come la prima volta che vai a fare la spesa e tenti di scoprire, fra le centinaia di cose che ti trovi davanti e che neanche sapevi che esistessero, dove possano nascondersi quelle che vuoi tu… alle cose più importanti, come l’imbattersi nei differenti modi di fare, di pensare, di gestire le cose.
Naturalmente, col passare del tempo, ti rendi conto giorno dopo giorno che a tutto c’è una soluzione e che nulla è impossibile, bisogna solo cambiare prospettiva, essere “open mind”, semplicemente capire che è normale avere qualche difficoltà all’inizio, difficoltà che poi si superano e che non rappresentano più un problema, anzi diventano parte di te, del tuo bagaglio personale, del tuo nuovo essere.
Ovviamente, dovendo ricreare la tua vita da capo, è come se tutto fosse una novità, come se di colpo facessi un balzo indietro nel tempo e tornassi bambino ed ogni cosa rappresentasse una scoperta.
Nuova lingua, nuova casa, nuova macchina, nuovo conto in banca, abitudini diverse, luoghi da esplorare, le miglia, le libbre, i fahrenheit, i primi amici, il primo Natale, la prima neve…
Frequento ogni giorno un gruppo di conversazione inglese presso l’International Center di Yale e tutti i ragazzi che ho conosciuto in questi mesi hanno avuto la mia stessa impressione ed in un certo senso penso sia bello così. Questa è senza dubbio un’occasione più unica che rara per ognuno di noi, che pochi hanno la possibilità di poter vivere, è come ripartire da zero, ma con la consapevolezza di migliorarsi sempre di più.
Fra tutte queste novità, quella che mi sta più a cuore è senz’altro la conquista di nuovi rapporti affettivi, persone con cui poter parlare di tutto, a cui chiedere consigli, con cui farsi quattro risate, o semplicemente mangiare una pizza.
Così è cominciata la mia amicizia con Maria, una ragazza di Philadelphia che ho conosciuto appena arrivata a New Haven. Lei sta facendo il dottorato al Dipartimento di Lingua e Letteratura Italiana di Yale e così abbiamo iniziato a vederci una volta a settimana per una “tandem conversation” Inglese-Italiano. Praticamente da subito ho capito che c’era una sintonia innata fra noi, che andava oltre l’essere cresciute con una mentalità così diversa, come se non fosse un caso che l’avessi incontrata. E così siamo diventate amiche.
Tra l’altro lei mi aiuta tantissimo perché, vivendo qui già da qualche anno, mi da una marea di suggerimenti utili, mi fa conoscere persone e posti nuovi. Insomma, è una ragazza davvero in gamba!
Tra le varie cose, mi ripete spesso che solitamente a New Haven nevica ogni settimana da ottobre fino a marzo e che quest’anno è anomalo a causa de El Niño che ha stravolto completamente la stagione.
Ed è così, infatti la prima neve ha fatto la sua comparsa soltanto sabato scorso.
E non è stata una nevicata qualsiasi, ma una vera e propria bufera, non ha smesso di scendere un secondo dalle 7 di mattina alle 11 di sera, leggera e soffice, accompagnata da un vento così forte che a volte la faceva sembrare nebbia.
Più di 12 pollici (circa 33 cm) in un giorno ed sono anche poco paragonati ai 2 piedi (circa 70 cm) di New York e Washington.
Ma io sono sempre felice quando nevica, mi da un senso di pace assoluta! Certo prima, abitando a Bologna e dovendo andare a lavorare in macchina fuori città, non ero entusiasta all’idea che nevicasse, ma ora che qua abito vicino all’Università e a downtown e quindi mi muovo sempre a piedi o coi mezzi, è tutta un’altra cosa.
E poi devo dire che la pulizia delle strade e dei marciapiedi è molto ben organizzata, cosa che mi ha piacevolmente colpito.
Altra cosa che mi ha colpito ed affascinato da quando vivo negli Stati Uniti, è senz’altro il grande impegno con cui i cittadini si dedicano al volontariato. All’inizio pensavo erroneamente fosse rivolto soprattutto agli studenti, invece è straordinario vedere come le persone di tutte le età siano coinvolte e come siano contenti che anche gli expats prendano parte a queste attività per integrarsi pienamente nella comunità.
Si può fare volontariato di ogni genere, dalla biblioteca, ai musei, all’ospedale.
In occasione del ventennale della celebrazione del Martin Luther King Day, mi sono offerta come volontaria al Peabody Museum, il museo di Storia Naturale di Yale, i posti disponibili (e non erano pochi!) sono stati letteralmente polverizzati nel giro di pochi giorni. Wow! Incredibile!
Non c’è alcun dubbio, da questo punto di vista credo che l’Italia abbia decisamente da imparare.