Parlare delle donne omanite significa trattare un argomento complesso e delicato.
Si rischia di banalizzare ed è proprio quello che vorrei evitare.
Già descrivere le donne italiane non è facile: diverse da nord a sud, da regione a regione, addirittura da famiglia a famiglia.
Ancor più difficile per un’italiana descrivere donne così diverse per provenienza, background culturale e soprattutto religioso.
Il Sultanato dell’Oman conta quasi 4.000.000 di abitanti, di cui circa il 35% è rappresentato da donne.
Questi sono dati approssimativi.
In realtà, a questi dati anagrafici bisogna aggiungere un numero di abitanti non ben definito.
Infatti, nelle regioni più remote, alla nascita, molti (soprattutto le donne) non vengono registrati.
Un dato certo è che le donne omanite godono di diritti inimmaginabili rispetto alla vicina Arabia Saudita.
Possono studiare, laurearsi, fare carriera nel lavoro, partecipare alla vita politica del loro paese, guidare l’automobile e perfino chiedere il divorzio.
Tutte cose normalissime per noi donne occidentali, ma segno di grandissimo progresso in Medio Oriente, dove la parità dei diritti è raramente riconosciuta.
Pensate che, nel settore pubblico, in Oman ci sono più donne dirigenti che in Italia.
Ci vuol poco, direte voi: nel nostro paese far carriera per una donna è più difficile che entrare nel Guinness dei Primati!
Naturalmente, si parla di donne che vivono nella moderna capitale, che spesso hanno studiato in Occidente e di frequente appartengono a famiglie altolocate.
Non è raro aprire i giornali locali e trovare le fotografie di donne come Selma, dirigente di Bank of Oman.
O di Fatma, tennista qualificata al torneo di Wimbledon (il suo allenatore è italiano).
O ancora di Laila, pilota di rally che gareggia con squadre maschili in campionati internazionali.
Intendiamoci, la strada per una completa emancipazione femminile, come la intendiamo noi, è ancora lunga.
Ma passa anche attraverso il processo di scolarizzazione voluto dal saggio e lungimirante Sultano Qaboos bin Said Al Said.
Si spera che possa costituire un input per i paesi confinanti.
La vita delle donne della capitale scorre apparentemente tranquilla.
Molte di loro lavorano.
I ritmi sono molto rilassati e gli orari consentono – beate loro – di potersi dedicare anche a se stesse. Qui scatta una punta d’invidia, vero?
Non voglio generalizzare e non posso dire che per tutte sia così; mi limito quindi a descrivere, per prima cosa, quelle che vedo nell’elegante quartiere di Almouj, anche detto The Wave (L’Onda), dove vivo da tre anni.
Un quartiere moderno come ce ne sono altri qua a Muscat, ma considerato una specie di Beverly Hills.
Dotato di ristoranti, impianti sportivi e negozi di stampo occidentale, è meta frequente di “pellegrinaggi” da parte di chi vuole trascorrere il tempo con maggiore libertà.
Le mie vicine di casa vivono in modo agiato in appartamenti o ville arredate, per lo più, con mobili moderni e di stile europeo. Raramente hanno meno di tre figli (anche le giovanissime), che quasi mai accudiscono di persona.
Si muovono per il quartiere con uno stuolo di tate, spesso una per figlio.
Quelle che non lavorano, trascorrono la giornata tra shopping nei centri commerciali e saloni di bellezza. Molto curate nella persona, sono sempre ben truccate e profumatissime.
Per convenzione vestono l’Abbaya, la lunga e frusciante tunica nera che il Sultano ha voluto come abito tradizionale.
Ma si sbizzarriscono negli abbinamenti di scarpe e borse sempre rigorosamente firmate, colorate e ovviamente costose. Come per dire: non vivo a Dubai, capitale della moda e dello shopping, ma me lo potrei permettere!
Il loro debole per la moda occidentale è palese. La moda italiana poi, è il loro sogno.
Io vesto preferibilmente abiti di taglio sportivo-elegante e sandali “Capri” colorati e abbinati alla borsa. Non è raro che riceva occhiate compiaciute e complimenti dalle signore che incontro per strada o al supermercato.
Mi è stato perfino chiesto se volevo vendere i miei sandali, cosa che mi ha gonfiata di orgoglio italiano.
Sotto l’Abbaya, cosa c’e’?
Molte donne arrivano nel mio quartiere di sera, in compagnia di un’amica o in allegri gruppetti.
Cenano nei bei ristoranti del corso principale, chiacchierano tra di loro e si scattano continuamente selfie mentre mariti e fidanzati sono probabilmente impegnati in una partita di calcetto o se ne stanno davanti alla tv ipnotizzati dal calcio internazionale.
È rarissimo vedere gruppi misti di maschi e femmine. Sebbene le regole sociali impongano la morigeratezza dei costumi, le ragazze spesso passeggiano con le Abbaya svolazzanti, aperte per mostrare gli abiti griffati e occidentali che indossano sotto.
Alcune, trovandosi in uno dei quartieri più alla moda, tolgono l’hijab per scoprire i lunghi capelli, salvo poi rimetterlo prima di tornare a casa, dove vicini e famiglia potrebbero non essere d’accordo su tanto ardire.
Si dice che molte ragazze vengano ad Almouj per trovare marito. Non ne ho le prove, ma di certo passeggiano come se fossero in passerella e lanciano sguardi di sottecchi, ma non privi di malizia, agli uomini seduti nei caffè. Insomma praticano lo “struscio” anche se “morigerato”.
Il matrimonio
I matrimoni d’amore a Muscat sono sempre più frequenti e la poligamia non è praticata dalle coppie giovani.
Tuttavia, rimane la tendenza a scegliere moglie o marito all’interno della propria tribù, per mantenere il nome, accrescere il patrimonio o anche solo per questioni linguistiche (ogni tribù ha un proprio dialetto e le coppie “miste” parlano spesso tra loro in inglese).
Anche se il processo di modernizzazione ha portato a modelli più occidentali, la tradizione tribale è sempre molto radicata e sentita.
Tutto il mondo è paese e non sono così rari i tradimenti, anche da parte delle donne che si sentono trascurate dal marito.
Il velo nero che copre loro completamente il viso ne cela l’identità e, coperte da questa invisibilità, può capitare che si diano appuntamenti con uomini al di fuori della famiglia.
I luoghi di appuntamento preferiti sono quelli che non consentono la presenza di uno chaperon: palestre, beauty parlor e anche ospedali. Insomma, posti dove le donne possono tranquillamente sparire al controllo della famiglia per un paio d’ore almeno.
A proposito dell’hijab
Il lungo foulard, preferibilmente nero, con cui le donne si coprono capelli e collo, pur non essendo obbligatorio, è usato quasi da tutte.
È più un fatto di costume che religioso.
A Muscat, si vede un po’ di tutto: donne con il capo coperto (che sono la maggioranza), altre con il burka che lascia scoperti solo gli occhi, e donne completamente velate dal geshwa che portano anche i guanti neri.
Non c’è una regola. A volte è una scelta personale, altre volte una scelta religiosa, o anche un’imposizione da parte del marito o della famiglia.
È la loro vita, non sta a noi giudicare. Alcune cose però, fanno sorridere: la moda emergente di indossare un foulard che lascia scoperta mezza testa di capelli tinti di biondo o altri improbabili colori (va di moda il ciuffo verde, colore dell’Islam), le sempre più frequenti lenti a contatto azzurre, oppure quando con il velo integrale e totalmente irriconoscibili si fanno i selfie e li spediscono alle amiche o al fidanzato.
Li scattano ovunque, anche quando sono in fila alla toilette. La civetteria, si sa, è femmina e sarei tanto curiosa di sapere cosa fa sorridere le omanite di noi occidentali.
So di sicuro che disapprovano i nostri peli sulle braccia e che le loro sono depilatissime.
Scherzi a parte, come sono viste le donne occidentali?
Direi che, se si rispettano dei normali canoni di educazione, ci accolgono senza riserve e ci offrono la loro amicizia.
Se poi si dimostra di voler imparare qualche parola di arabo, l’entusiasmo è manifesto.
Quello che finora vi ho descritto è solo uno dei tanti aspetti della vita femminile in Oman. Quello più lieve e che ho ogni giorno sotto agli occhi. Molto più attinente alle abitudini della vicina Dubai, che a quelle dell’Oman.
L’altra faccia della medaglia
Basta uscire dalla città e addentrarsi nei paesi, per vedere come la realtà sia ben diversa.
Le donne indossano abiti colorati con tunica su pantaloni, ciabatte al posto delle scarpe tacco 11. Si intuisce dai loro volti che la vita non con tutte è stata generosa.
I loro sguardi sfuggono, le loro mani testimoniano duro lavoro.
Si radunano fuori dalle loro case, sedute sui talloni con le ginocchia che appoggiano per terra. Conversano tra loro. Immagino discorsi semplici, qualche pettegolezzo, le loro confidenze.
Molte, sicuramente le più anziane, sono analfabete e non si sono mai allontanate dal villaggio.
Alcune non hanno mai visto il mare. Quell’oceano così immenso e azzurro che mi ha rubato gli occhi e il cuore.
Ibra- Il mercato delle donne
Nella cittadina di Ibra (a 150 km da Muscat, in direzione Sur) ogni mercoledì mattina ha luogo il mercato riservato solo alle donne.
Indossano tutte la mascherina tipica delle donne beduine.
Questa maschera di tessuto, nata per riparare il viso dal sole e dalla sabbia, è il loro segno di riconoscimento e il loro vanto. Un segno di appartenenza e un ornamento.
Il mercato è un grande evento per queste donne.
Alcune di loro percorrono anche 10/15 km a piedi per raggiungerlo.
Qua vengono a vendere, comprare, barattare oggetti di ogni genere: per la cura della casa e della persona, abiti colorati, stoffe, incensi. L’atmosfera è suggestiva e, soprattutto, vera.
Non gradiscono essere fotografate ed hanno tutta la mia comprensione.
Non sono animali da esposizione e, una volta visto, il mercato di Ibra – con i suoi colori, odori e l’allegro scompiglio – ti rimane impresso nella mente per tutta la vita.
Alcune di queste donne, qui siamo alle porte del deserto di Wahiba Sands, lavorano nei Desert Camp che accolgono i turisti.
Alcune sono pagate per cucinare, altre per cantare e danzare al suono dei tipici strumenti a percussione.
Altre ancora accolgono i turisti nelle loro tende per offrire caffè e datteri e vendere qualche semplice manufatto, per lo più braccialetti di lana colorata e stuoie.
Insomma una vita ben diversa, da quella agiata e moderna della capitale.
La mutilazione genitale femminile.
Qui si apre un dolente paragrafo.
Sono le donne che decidono di praticare questa orrenda violenza sul corpo neonato delle loro bambine.
Nonostante in Oman sia illegale, come in molti paesi del mondo islamico e proibita dalle recenti dichiarazioni delle maggiori cariche islamiche, in alcune parti del paese le bambine appena nate vengono sottoposte all’escissione della parte esterna del clitoride e la cauterizzazione mediante una brace.
Questa usanza è molto antica e si pratica perchè è sempre stato così: alle nonne e alle madri è stato fatto “ed hanno avuto una vita felice”, quindi, farlo alle bambine è ovvio, naturale e serve a proteggerle da qualunque cosa potrebbe succedere se non venisse praticata.
Le spiegazioni che vengono date sono che altrimenti la pelle diventa gialla, oppure che è una pratica consigliata dal Corano.
Il Corano, in realtà, attribuisce a Satana qualunque pratica che modifichi il corpo umano così come è stato creato da Dio (An-Nisa’ 119).”
Le donne del Dhofar
Il Dhofar è considerato dal resto del paese come una regione chiusa, tradizionalista e molto tribale e, per certi versi, è vero.
Si trova all’estremo sud del paese.
Io sono stata più volte solo nella bellissima Salalah in vacanza.
Proprio a Salalah, dal 2013 vive stabilmente Alice.
Poco più di trent’anni, figlia di genitori italiani entrambi archeologi, è nata a Roma, ma ha trascorso buona parte della sua giovane vita tra Italia e Oman.
Ho chiesto a lei di parlarmi delle donne del Dhofar e di chiarirmi alcuni aspetti della loro vita.
Alice, secondo la tua esperienza, qual è la situazione in Dhofar?
“La poligamia è molto praticata nella regione ma, molto spesso, per puro sfizio di “possedere” diverse mogli.
Nel Corano la poligamia viene incoraggiata, allo scopo di proteggere le donne che per una ragione o per l’altra sono rimaste senza marito, ed è comunque obbligatorio che ogni moglie riceva nella stessa misura tutto quello che hanno le altre.
Ogni moglie deve avere un suo spazio.
Una casa propria, se possibile, ed ad ogni moglie va fatto lo stesso regalo.
Ognuna di loro deve avere la stessa quantità di tempo dedicata dal marito e lo stesso amore.
Molto spesso le leggi, quelle coraniche comprese, vengono rigirate a proprio piacimento.
Qui è cosa comune che, anche un uomo che non può permettersi di avere più di una moglie, ne prenda comunque quattro, il numero massimo consentito, e le faccia vivere tutte nella stessa casa, cambiando stanza di notte in notte a suo gradimento.
Questo comportamento è quasi sempre fonte di dramma e gelosia, ma talvolta le prime mogli sono ben contente di sollevarsi dal peso del marito condividendolo con altre donne.
Si instaura un rapporto di sorellanza tra le diverse mogli/sorelle che si dividono i compiti, così come succedeva negli harem antichi.
D’altra parte, l’avidità maschile a volte si esprime in paradossi: qui a Salalah (e ne ho sentiti di altri) c’è un uomo che si pregia di aver maritato una ragazza di ogni famiglia del Dhofar (quattro alla volta) e di aver avuto un totale di 128 figli.
Qui, purtroppo, i matrimoni d’amore sono rari, ci si sposa per cominciare una vita da adulti, per fare quello che la famiglia e la società in genere si aspetta.
I divorzi sono molto praticati, sia da uomini che da donne.
Il matrimonio è un fatto sociale: si decide prima di sposarsi, poi quando, infine con chi. Sono stata invitata ad un matrimonio per il prossimo gennaio, ma ancora non si sa chi sarà la sposa”.
Come sono le donne, come passano la loro giornata? Hanno la stessa passione per la moda che ho notato nella mia città?
“Le donne del Dhofar sono di diversi tipi e, come spesso accade, non si può cedere alla tentazione di fare di tutt’erba un fascio.
Ci sono donne che lavorano sodo e che si occupano della famiglia, ma ci sono anche donne, una buona percentuale, che passano il loro a tempo a fare nulla.
Frequentatrici assidue dei saloni di bellezza, spendono cifre ridicole per modificare se stesse (e le loro bambine).
Tendenza diffusissima tra le donne di tutti i paesi è non essere mai soddisfatte di se stesse: più ricce, più lisce, più magre, più grasse, più chiare o più scure.
Si vuole sempre assomigliare a qualcun altro, affinché il proprio aspetto si avvicini il più possibile al prototipo socio-economico ammirato.
Conosco donne che si spalmano creme sbiancanti, altamente corrosive. e che producono danni irreversibili allo strato epidermico, mentre allattano i loro bambini.
Spesso, a causa del costo elevato del trattamento, lo fanno solo su viso e mani creando così delle notevoli, ridicole, discromie con il resto del corpo (del quale sono in vista soltanto i piedi – scuri).
Infatti “sbiancante” è la parola magica che fa vendere qualunque prodotto di bellezza, dalle creme più costose alle saponette.
Vogliono tutte assomigliare al prototipo di donna del Primo Mondo.
Le donne (quelle che escono) sono grandi frequentatrici di centri commerciali.
Non è raro assistere a scene di bambini che piangono disperatamente, del tutto ignorati dalle madri intente a fare shopping.
Mi è capitato più di una volta di vedere bimbi di pochi mesi allattati con il biberon, mentre le madri camminavano tra le boutique dei mall o sceglievano un paio di scarpe.
La tendenza a riempire la bocca dei bambini con “qualcosa” ogni volta che la aprono è comune in molti paesi.
Capita anche di incontrare bambini intorno ai tre-quattro anni che non parlano ancora.
Non sanno parlare perché nessuno ha mai parlato con loro.
Un bimbo impara a parlare dalla mamma quando gli chiede se ha fame o freddo o sonno, senza aspettare nessuna risposta, non dalla onnipresente televisione con le sue soap opera.
Se la madre non dedica al figlio almeno altrettanta attenzione di quella dedicata alla televisione o al suo smartphone, il bambino impara a parlare più tardi.”
Le donne di Salalah lavorano? Hanno una loro indipendenza economica?
“In teoria, le donne non hanno nessun dovere economico nei confronti della famiglia in quanto ripagano abbondantemente tutti i loro bisogni nel corso della vita mettendo al mondo i figli.
In realtà, è frequente che le donne vengano incoraggiate a lavorare per accendere un mutuo sul loro stipendio gestito dalla famiglia”.
Come vivono in famiglia? Come si comportano nel rapporto di coppia?
“La modernità acquisita tanto rapidamente dalle donne di Salalah ha portato a considerare qualunque cura per la casa un’attività degradante.
In quasi, se non tutte, le case c’è almeno una cameriera che pulisce, cucina e spesso si occupa della prole.
Fare la spesa è delegato ai mariti: procacciare il cibo, acquistandolo spesso già preparato.
Le donne, qui come altrove, sono considerate soprattutto per la loro funzione, unica ed insostituibile, di mettere al mondo figli.
Poiché i figli sono un valore indiscutibile, come in tutte le società tribali, è opportuno che nascano nella stessa tribù.
Quindi, il marito viene preferibilmente scelto tra i membri della tribù della medesima generazione, ovvero i primi cugini.
Un detto locale dice che il matrimonio in Occidente è come una pentola di acqua in ebollizione che viene tolta dal fuoco.
Il matrimonio orientale, invece, combinato dalla famiglia, è come una pentola di acqua fredda che viene messa sul fuoco.
Le coppie hanno una media di 8-10 figli, che spesso presentano deficit genetici.
Al mercato sono in vendita delle erbe con le quali fare suffumigi per restringere la vagina stremata dai parti.
Dopo il primo figlio, l’attenzione del marito si distrae dalla sposa e si concentra esclusivamente sulla prole.
Le mogli fanno tutto quel che possono per attirare di nuovo il coniuge nel proprio talamo.
Mi sembra di capire che la maggior parte delle donne sia insoddisfatta della propria vita coniugale. Come allevano le proprie figlie? Cercano di educarle ad una maggiore considerazione di sé proponendo obiettivi diversi a cui mirare da grandi?
“Purtroppo le donne spesso educano le bambine riproponendo lo stesso modello con il quale sono state cresciute. Le bambine vengono educate al silenzio in attesa di trovare loro un marito.”
Tra le tante donne che hai conosciuto, una è un esempio di coraggio e “resilienza femminile”, ce ne vuoi parlare?
“Nei quattro anni che ho vissuto a Salalah ho conosciuto donne di tutti i tipi.
Ho conosciuto Selma, parrucchiera 40enne. Bellissima.
Mi ha raccontato la sua storia: figlia di un emigrato rientrato in patria dopo quarant’anni con una famiglia creata in Africa, non aveva una gran scelta di pretendenti.
Quando aveva 12 anni e non era ancora in età puberale, venne data in sposa ad un vecchio.
Le bambine, come fece Maometto con la sua sposa Aisha, vengono coniugate in giovanissima età con la promessa che il marito le amerà come figlie finchè non saranno diventate donne.
A quel punto potranno essere amate come mogli. A Selma non successe.
La prima notte di nozze il neomarito tentò di abusare di lei. Lei riuscì a scappare e si andò a rifugiare nella casa paterna che si trovava a poca distanza.
Suo padre, ascoltato il racconto e visti i lividi e graffi sul corpo della bambina, imbracciò il fucile (presenza costante nelle case dei Jabbali) ed andò dal genero ad offrirgli due alternative: andarsene sulle sue gambe immediatamente oppure andarsene per sempre in posizione orizzontale.
Il genero approfittò della chance e scappò nella notte con i pochi stracci che aveva indosso.
Selma venne nuovamente data in moglie l’anno successivo ad un altro vecchio (sempre più vecchio, visto che nonostante la sua giovane età si trattava già di un secondo matrimonio).
A quel punto era maturata e rimase immediatamente incinta.
Il vecchio marito purtroppo morì prima della nascita del figlio.
Selma si trovò a 14 anni vedova ed incinta.
Decise di rimanere a vivere nella sua casa e di portare a termine la gravidanza da sola.
Poco dopo la nascita del bambino, cominciò a lavorare come apprendista in un salone di bellezza e si iscrisse ad una scuola serale, dove ha imparato, tra le altre cose, l’inglese.
Adesso lavora nel salone di bellezza di sua proprietà.
E’ al suo quarto matrimonio ed è nonna di due bambini avuti dal suo unico figlio.
Selma è una donna indipendente, in grado di fare le sue scelte.
Nonostante i diversi “tipi” di donne, anche qui nel profondo sud le donne sono la grande speranza per un futuro migliore.”
Sono pienamente d’accordo con te, Alice! Grazie per avermi aiutata a descrivere questo universo femminile così complesso.
Da Muscat-Oman, per ora è tutto. Buona vita, donne.
Ovunque e sempre la parola d’ordine è: resilienza!
TIPS
Alice è tour operator a Salalah. La sua agenzia si chiama “Le Vie di Magan“, antico nome dell’Oman.
Ha una bellissima pagina FB. Rivolgetevi a lei se, come me, non amate il “turismo mordi e fuggi” e desiderate veramente conoscere il territorio.
Assieme alla mamma Alice ha, inoltre, dato vita a un piccolo ristorante italiano nel centro della città: “La Lasagna”.
E’ diventato famoso per le lasagne con carne di cammello, esempio lampante di cucina fusion: ingredienti locali e tecniche tradizionali della bisnonna emiliana.
Purtroppo ora è chiuso, ma ancora se ne parla anche a Muscat con grande nostalgia.
Una donna di Salalah ha creato il blog “Dhofari Gucci” (questo nome modaiolo forse per confondere un po’ le acque?) dhofarigucci.blogspot.com
Nel blog racconta della città e dei dintorni senza timore di esprimere le sue acute osservazioni anche su temi scomodi.
Date un’occhiata: ne vale la pena.
Per sapere qualcosa di piu’ su Giovanna, Oman autrice dell’articolo.
9 Commenti
Articolo interessantissimo! Grazie!
grazie a te per avermi letto! Buona vita!
Giovanna – Oman
??
Ciao Giovanna, ho vissuto per due anni in oman e ahime non ho visitati mai Salalah
Mi hai fatto ricordare con piacere tante donne conosciute a Muscat
ciao Eleonora, il Sohar è bellissimo! Io ne ho visitato solo una parte, ma spero di poterlo visitare presto con Alice che ne conosce ogni angolo! Buona vita !
L’Oman è nella mia bucket list da un po’ di tempo quindi grazie mille per questo articolo molto interessante e spero di visitarlo di persona al più presto.
Grazie per il bel commento e…non perderti l’Oman, ti incanterá!
ciao e buona vita!
Giovanna – Oman
Gentilissima Giovanna,
mi può aiutare a darmi indicazioni su come poter aver informazioni relative al calcio professionistico in Oman?
grazie mille
Buongiorno Andrea, chiedo scusa se rispondo solo ora. Non avevo visto la sua richiesta. Purtroppo non sono ferrata in materia. So per certo che gli Omaniti sono appassionati di calcio. Lo dimostra il fatto che lungo i viali alberati di Muscat é tutto un susseguirsi di campetti da calcio sempre affollati che gioca nelle ore serali.
Purtroppo da un anno sono rimpatriata e non ho più modo di trovare info.
Grazie per avermi letta!
Bell’articolo!
Grazie 🙂