Paese che vai, portafogli che porti
Testimonianza inviataci da Iara
Mi è capitato di trovarmi a preparare la valigia, il bagaglio a mano per tornare a Londra – dove vivo da 8 mesi, da Milano, da dove sono originaria – e cercare uno dei miei portafogli.
Come sarebbe “uno dei”?
Sì, non sto scherzando, uno dei 4 portafogli che ho: uno per ogni luogo dove ho vissuto.
In ogni portafoglio c’è il riassunto della mia vita in un determinato paese.
Ad esempio nel portafoglio brasiliano tengo la patente brasiliana, carta identità, tessera del pullman e ovviamente i soldi in contanti, i reais brasiliani. In quello britannico tengo le carte di credito – tanto a Londra non servono i contanti – e la oystercard.
In quello norvegese, che tengo ormai come ricordo dopo tre anni di esperienza nordica, ho lasciato le monete più strane che abbia mai visto (quelle norvegesi infatti hanno un buco in mezzo) e qualche ricordo di biglietti di teatro all’Opera House di Oslo.
Poi c’è quello che porto con me sempre, quasi fosse una sorta di reminder della mia origine; un qualcosa di certo in questo girovagare nel mondo. E’ il mio portafoglio italiano.
Qui ci trovi di tutto: dalla tessera sanitaria, ai bancomat che funzionano solo in Italia, a tessere fedeltà di tutti i supermercati, scontrini sbiaditi della farmacia che tengo come spese da detrarre in dichiarazione dei redditi.
Insomma ogni portafoglio si porta dentro utilità, soldi locali ma soprattutto ricordi dei luoghi dove ho vissuto e ho lasciato un pezzettino del mio cuore.
Mi piace raccontare le unicità dei luoghi dove vivo e, come storyteller poco talentuosa nella scrittura, ma molto chiacchierona, ho voluto raccontarlo in video nel mio canale youtube così da scoprire insieme il mondo.
Ma sono solo io che mi sento di avere tante vite contemporaneamente?
Ho chiesto ad amici e conoscenti italiani all’estero e tutti concordano: noi italiani espatriati ci sentiamo di appartenere a molti posti. Ad alcuni viene da seguire degli usi e costumi non proprio tipici italiani, come bere il tè con il latte a metà pomeriggio o andare a fare sci di fondo il sabato pomeriggio; altri provano ad adattarsi all’ambiente e di sentirsi a casa lo stesso, anche se a volte risulta davvero difficile.
Io ho un accentuato spirito di adattamento: come un camaleonte, prendo accento e modi del posto dove sto.
Non vi è mai capitato di sorprendervi a camminare in modo diverso (più veloce a Londra e più lento a Oslo), o di avere orari di pranzo e cena diversi, oppure persino di vestirvi in modo diverso a seconda di dove vi trovate? A me è successo così tante volte che penso di soffrire di personalità multiple.
Ma la domanda più difficile a cui rispondere è proprio quella che mi fanno più spesso: dove si vive meglio? In Italia, Norvegia, Brasile o Londra?
La felicità è così personale e individuale che posso rispondere una cosa sola: si vive meglio dove ti senti meglio tu.
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