Il mio ultimo libro diceva che bisogna parlare lo stesso dizionario.
Non necessariamente la stessa lingua, ma lo stesso dizionario. È una differenza sottile, ma sostanziale.
L’importante è, dunque, che le parole abbiano lo stesso significato.
Che sia “casa” o “home” o “accueil” o “hem”, l’importante è che corrisponda al luogo in cui tornare la sera, dopo una giornata di lavoro, per entrambi.
Me lo sono sempre chiesta, se le relazioni umane siano una questione di “vedere la vita nello stesso modo”, “essere fatti nello stesso modo”, “essere diametralmente opposti”, o magari, meno complicato, “vivere e basta”.
Ho visto, in tutti gli episodi di Sex & City, Carry teorizzare con Charlotte, Miranda e Samantha sulle relazioni uomo-donna.
Ho ascoltato Chiara, Licia e Sara così tante volte che ne ho perso il conto.
Poi le ho anche osservate, le relazioni, da fuori, come la più sfacciata delle estranee.
Una volta era fuori da una metro del centro.
Un uomo ed una donna di circa 45 anni avevano zaini da campeggio appoggiati per terra, si abbracciavano.
Penso che lui stesse respirando fra i suoi capelli perché non riuscivo a vedere interamente il suo viso.
Un’altra volta erano due giovani in un posteggio per motorini.
Erano bellissimi, lei così bionda lui così vivace, non smettevano di baciarsi (ovviamente).
Poi, una volta, era una madre con un passeggino su un autobus.
Aveva una lunga treccia, i capelli liscissimi, era un’orientale.
Ad ogni frenata metteva le mani sull’intera carrozzella per attutire i colpi, perché il suo bimbo non li avvertisse.
L’ultima volta era in un parco.
L’andamento di lui era tentennante, come ad intermittenza – per qualche secondo ho pensato si fermasse, quello di lei era lento ma sicuro.
Dai pantaloni di un tessuto leggero di lui si intravedevano gambe molto magre, quasi ossute, i suoi capelli erano bianchi e corti, aveva degli occhiali grandi da vista, un vecchio modello Rayban credo, avrà avuto tra i 75 e gli 80 anni.
Lei doveva essere una stretta parente, ho pensato da subito, aveva la stessa forma ovale del viso, la stessa magrezza e gli stessi colori chiari di lui, si tenevano sotto braccio, lei misurava la sua andatura e la modellava su quella di lui.
Nessuno dei due si guardava, guardavano solo avanti finché lei gli ha detto “Papa, anem a seure”, “Papa, andiamo a sederci”.
I rapporti umani sono sempre così interessanti per me che, credo avrete capito, non smetterei mai di osservarli, immaginarli e fantasticarci su.
Poi, nella vita reale, si vivono ogni giorno, si prendono le misure, si impara a capire se si è cresciuti e si parla con lo stesso dizionario.
Dal mio libro, di cui sopra:
“Non abbiamo mai avuto lo stesso dizionario.
Parole uguali, significati diversi. Dicevamo famiglia: io pensavo a costruire e tu a circoscrivere; dicevamo politica: io ero entusiasta e tu diffidente.
Io combattevo, tu ti rifugiavi. Se non fosse stato per Mara, ci saremmo persi subito”.
( “Gli anni al contrario”, di Nadia Terranova )
Chi sono
1 Commento
Che bell’articolo, scritto su un argomento che mi affascina tanto e mi interessa da sempre!
Vedo con i tuoi occhi le immagini rubate alle persone che hai osservato. Anche io osservo tanto e mi piace capirle cosi le persone, e relazioni che legano queste ultime ad altre persone, o a me: più dai loro gesti e dal linguaggio del loro corpo, che dalle loro parole. Poi le parole talvolta sono pericolose, nascondono insidie nei facili fraintendimenti. Un buon dizionario, si costruisce forse con molta buona intenzione di capirsi, molto autentica voglia di non spiegarsi sempre tutto, molta curiosità di lasciarsi andare all’ignoto che ognuno ci porta con sé, lasciando scorrere anche quando non si comprende tutto, se si riesce ad accettarlo.