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Partorire in Germania: la mia esperienza

di Samanta - Jena DE
Partorire in Germania: piedini

Dopo avervi accennato alle pratiche da svolgere prima di partorire in Germania, che ne dite di parlare del parto vero e proprio?
Non vi regalerò dettagli indesiderati, non temete. Gli ormai celeberrimi resoconti del parto, di cui i social sono pieni, non fanno proprio per me. Vi parlerò di quello che ho fatto poco prima di esser ricoverata e di quello che è successo una volta giunto il fatidico momento. Buona lettura!

Per partorire in Germania occorre innanzitutto essere registrati in ospedale.

Ne abbiamo già parlato, se ben ricordate. Ma come mai occorre farlo? Ebbene: registrarsi in ospedale con un paio di settimane d’anticipo vi permetterà di poter accedere direttamente al reparto, una volta arrivati. Immaginate, altrimenti, l’agonia di dover compilare documenti di varia natura tra una doglia e l’altra! Ma cosa occorre presentare? Innanzitutto occorrerà presentare la propria tessera sanitaria. In questo modo, l’ospedale avrà gli estremi della vostra assicurazione e provvederà a inviar loro le fatture del caso. Attenzione: in alcuni casi dovrete coprire parte dei costi, ad esempio nel caso di stanze singole o stanze familiari. Questo, poi, varia da ospedale a ospedale ergo informatevi prima di prendere questa o quella decisione. Chiedere informazioni non fa mai male.

Partorire in Germania ?e un'esperienza unica!Inoltre verrà richiesto un documento d’identità e gli estremi del vostro contatto d’amergenza e/o accompagnatore. Nel caso ci fossero delle particolarità queste verranno annotate. Un esempio? Noi, pur essendo sposati, abbiamo due cognomi diversi. La segretaria ha annotato il fatto fosse tutto in ordine per evitare lo facessero aspettare alla porta. Inseriti i vostri dati, poi, l’impiegato dell’accettazione provvederà ad annotare il nome del vostro medico curante e quello del vostro ginecologo. Questi riceveranno la notifica del lieto evento e una copia del reperto con il quale sarete dimesse. Spesso, poi, il giorno delle dimissioni riceverete un altro reperto in forma di una lettera. Lo dovrete consegnare all’ostetrica che si occuperà del post parto. Un’ulteriore copia molto schematica si trova, infine, nell’U-Heft (ossia nel libretto delle visite di controllo del nascituro) in modo da informare anche il pediatra di eventuali particolarità.

Quando vi registrerete per partorire in Germania, inoltre, vi verranno consegnati tutta una serie di fogli informativi da firmare e consegnare una volta arrivati in ospedale. Si tratta di documenti riguardanti, ad esempio, l’epidurale, l’episiotomia oppure i rischi del parto. Non so bene se si tratta di un modus operandi generale ma l’ospedale presso il quale ho partorito li faceva firmare pro forma. Cosa significa? Io, ad esempio, desideravo un parto non medicalizzato ossia senza il sostegno di antidolorifici. Essendo però il mio primo parto e non avendo quindi l’esperienza del caso, la caporeparto mi consigliò di firmarlo comunque e di tenerlo nel borsone. Se avessi cambiato idea non avrei dovuto aspettare di dover compilare tutti i moduli tra una doglia e l’altra. Nel caso non ne avessi avuto bisogno, come nel mio caso, lo avrebbero semplicemente buttato via. Meglio prevenire, insomma, che curare.

Partorire in Germania è stata un’esperienza oltremodo interessante…

Quando mi si sono rotte le acque, la prima cosa a cui ho pensato sono state le parole di Cornelia, la mia ostetrica. Sorpresa dal mio spirito di organizzazione, infatti, mi disse con lungimiranza: “Non rimanere delusa se le cose non andranno come vorrai”. Ecco, come volevo non è andato poi molto…

Partorire in Germania mi ha forzata a far un sacco di compronessiPartorire in Germania, per me, ha significato innanzitutto fare tutta una serie di compromessi. Niente parto in casa perché, nel caso fosse capitata un’emergenza, l’ospedale più vicino dista almeno trenta minuti. Niente parto in day hospital, mannaggia, perché tra la quantità oscena di sangue perso e il fatto Francesco fosse gracilino non se ne parlava. Sono stata dimessa dopo una settimana dopo aver letteralmente implorato mi lasciassero andare a casa. Niente degenza a riposo, per fare bonding e goderci tutte le bontà che avevo preparato e congelato: sin da subito, infatti, abbiamo fatto la spola tra medici, osteopati e chi più ne ha più ne metta. Allattare è stato un tormento e i pannolini lavabili li abbiamo usati solamente dopo un mese e mezzo circa, con buona pace del mio “piano d’azione”. Per fortuna i nostri vicini di casa ci avevano regalato un buono acquisto per poter fare scorta di pannolini taglia “zero”.

Partorire in Germania, però, è stato anche piacevole e, in linea generale, un’esperienza davvero positiva. Si è trattato, innanzitutto, di un parto molto breve e relativamente indolore nonostante fosse il primo. Il personale che mi ha assistito, ossia un’ostetrica e una ginecologa, sono state davvero fenomenali. Gentili, incoraggianti e veloci nel prendere le decisioni del caso, mettendomene sempre al corrente. Un team davvero coi fiocchi che, nonostante il carico di lavoro non indifferente, si è preso il tempo, ad esempio, di salire in repatro a congratularsi con noi. Dopo aver letto dell’ennesimo parto traumatico, di violenza ostetrica e di complicazioni imprevedibili, ve lo confesso, è stato proprio un sollievo enorme.

Non vi nascondo che la degenza post parto in reparto non è stata semplice. Tra visite quotidiane, prelievi del sangue buoni a saziare pure Dracula, controlli nel bel mezzo della notte e tiralatte ogni tre ore, davvero, sono stata contenta di andarmene a casa. Se da un lato avrei dovuto iniziare a ri-occuparmi della quotidianità, cosa che in realtà ha fatto mio marito, dall’altro il confort delle proprie cose è innegabile. Il viaggio di ritorno è stato decisamente pauroso, tra camion che ci sfrecciavano accanto e la sempiterna domanda: “Ma respira? Ma siamo sicuri che respira?”.
Ce l’abbiamo fatta, siamo sopravvissuti. I viaggi in macchina, adesso, non ci fanno quasi più nemmeno paura. Un passo per volta, insomma. In questo modo, da qualche parte arriveremo pure. O almeno spero.

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