Come sicuramente alcuni sanno, il 9 novembre in Germania non si ricorda solo la caduta del muro di Berlino bensì anche il Pogrom condotto dai Nazisti nel 1938 che prende il nome di “Notte dei cristalli”.
Una giornata che – alla luce dei recenti episodi di politica estera, delle continue manifestazioni a favore di politiche meno tolleranti e inclusive e di una tendenza all’odio razziale che spesso mi lascia senza parole – lascia un gusto un po’ amaro in bocca e al contempo spinge a voler fare, combattere, agire, dimostrare. Perché se da un lato sembra che non abbiamo imparato nulla, dall’altro è evidente quanto ci sia ancora da imparare.
Proprio in questo giorno un partito di stampo neonazista ha deciso di marciare su Jena, all’interno di un quartiere fatto di famiglie, giovani coppie e qualche studente, dichiarando peraltro di voler semplicemente ricordare la caduta del muro di Berlino e non un episodio tanto tragico quanto in qualche modo triste e attuale. (Inciso: sono arrivati armati di striscioni neri, bambole raffiguranti Häftlinge e alcuni di loro hanno dovuto coprire tatuaggi raccapriccianti, fatti di svastiche e Sieg Heil) Senza voler scegliere nel merito della veridicità di questa affermazione, la città – spinta anche dal Consiglio Comunale, dal Rettorato dell’Unversità e dalle varie Associazioni di cittadini – si è riunita in una contro-protesta di dimensioni notevoli (1500 contro 60), che ha assunto toni e sfumature differenti… dalle candele alle urla alle canzoni all’Ape Maia.
Ma torniamo alla mia giornata… dopo la notizia delle Presidenziali negli Stati Uniti, mi sono vista con un amico per un caffè prima del lavoro e insieme abbiamo commentato quanto una notizia del genere faccia paura. Facendo parte di una minoranza (Robin è una meravigliosa persona genderfluid e facciamo entrambi parte di quella categoria di persone che qualcuno etichetta come LGBTQI), tendiamo a doverci confrontare con l’intolleranza e spesso l’incomprensione delle persone a più livelli, anche in merito alle piccole cose. Vedere una persona che non ha fatto mai mistero delle proprie tendenze razziste, omofobe e misogine vincere le elezioni e sentire amici d’oltre oceano in stato di shock – alcuni addirittura in lacrime – sapendo peraltro che lo stesso giorno un gruppo di estremisti avrebbe marciato sulla nostra piccola cittadina – dove ci sentiamo a casa e al sicuro – ci ha letteralmente messo davanti ad una realtà contro la quale ci impegniamo a lottare ma che spesso ci fa solo paura.
Ed è in quel momento che mi sono resa conto di una cosa: che la paura è un sentimento strano e che come tutte le emozioni spesso ci coglie impreparati, arriva senza avvisare e sta a noi agire di conseguenza.
Robin è riuscito ad andare alla contromanifestazione unendosi ad alcuni nostri amici mentre io ho dovuto lavorare sino alle 20:00 circa, in preda ad uno stato a metà tra il panico nel non poter rimanere permanentemente in contatto con loro, la paura che a loro potesse succedere qualcosa e lo sconforto – per non dire la rabbia – nei confronti di chi veniva in negozio per lamentarsi di quanto fosse difficile raggiungere il quartiere bloccato dalla polizia “quando sarebbe meglio non dare loro attenzione e lasciarli fare”.
Ho finito il mio turno, cercato di darmi una calmata e – messo a fuoco il fatto che non sarei mai riuscita a passare oltre le barricate in quello stato – sono corsa a casa, dove ho controllato lo sviluppo della faccenda (il Cielo benedica Twitter) e bevuto un the in attesa di ricevere notizie da chi si era unito alla contromanifestazione. Quella stessa sera ho anche capito un’altra cosa: che non voglio smettere di lottare, che voglio fare di ogni momento di paura un’occasione di coraggio, che voglio combattere per quello in cui credo e per le cose che amo. Anche quando questo significa dover chiamare il mio capo e prendermi qualche ora di permesso (come farò a gennaio… sì, c’è già un’altra marcia in programma) per mescolarmi a persone di tutte le età che cantano “Bella ciao“, gridano “Refugees Welcome“ e lottano per difendere questa città che tanto amo, nella speranza che rimanga sempre così: tollerante, variopinta, multietnica e accogliente.
My fear is my substance, and probably the best part of me. (Franz Kafka)
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