Pellegrinaggio in bicicletta
Due settimane fa ho fatto il mio primo viaggio in bicicletta. Un piccolo viaggio, come prova per farne uno piu grande.
Vi racconto come è andata.
Intanto chi ha partecipato: ovvero Damiana e la sottoscritta.
La nostra destinazione: Macchu Picchu, partendo da casa mia.
Biciclette: mtb da turismo, quella di Damiana presa a noleggio, e la mia.
Sabato abbiamo recuperato la bici della mia amica a Urubamba e l’abbiamo portata a casa. Più o meno ci siamo fatte 30 km di prova, senza borse, ed è andato tutto bene.
Allora domenica siamo partite, con le borse, da Calca, un paesetto qui del Valle Sacro Degli Inca.
Non avevo mai fatto un viaggio in bici e mi sono trovata subito con delle sorprese. Proprio quegli errori da principiante: la mia stupenda, modernissima ed europea griglia da bici, quella che prendi dietro sulla bicicletta e ci appoggi su le borse, non ci stava.
Non me ne ero resa conto prima, proprio perché non mi ero mai presa il tempo prima per verificare. E come se non bastasse, sulla mia bellissima bici non ci potevo allacciare le mie borse. Hahahaha.
Gira e rigira era già mezzogiorno, avevamo ancora 5 ore e mezza di luce e non avevo trovato altra soluzione se non mettermi lo zaino in spalla e pedalare.
Allora abbiamo preso la pista ciclabile, che costeggia il fiume Vilcanota.
Era pianeggiante, però ‘sta borsa come pesava! Abbiamo passato immense distese di campi di mais, ogni tanto qualche paesello, di quelli dove lo spagnolo non lo parlano nemmeno, perche sono proprio e solo quechua hablantes, tra questi grandi Apu (montagne) che ci fanno da spettatori.
Era ben presente pure Waira, il signore del Vento, che ci ha provate per bene, soffiandoci contro e poi ci ha sfinite, invitandoci a un ristoro nella sua bellissima cappella a metà percorso.
Waira ha continuato a sfidarci fino a Urubamba, uno dei paesetti principale del Valle, la nostra destinazione del giorno.
Eravamo esauste. Come cambia viaggiare in bici con uno zaino in spalla! Dopo una pausetta nella piazza principale abbiamo cercato un luogo dove pernottare. Mi avevano raccomandato una ecolodge Ccatan, qualcosa di stile molto gringo, un po’ fuori dal paese. Abbiamo spinto le nostre bici fino a lì: era pura salita e ops… erano gia prenotati e pieni.
Così siamo tornate giù in paese, a un ostello chiamato Ayllu, di cui avevo visto la pubblicità. 30 soles a testa per una stanza per due persone, bagno condiviso, wifi e colazione continentale inclusa.
Ovviamente avevamo una fame da lupi. Siamo andate da Quinoa, un ristorante pizzeria con menu fisso da 10 soles. Abbiamo scelto zuppa di quinoa e spaghetti alla napolitana. Arrivavano questi spaghetti e vedevamo già doppio dalla stanchezza. Abbiamo mangiato come se non vedessimo cibo da una settimana. Poi abbiamo raccontato ai ristoratori del viaggio che stavamo facendo.
La notte siamo crollate, ma il giorno successivo eravamo pronte a continuare a pedalare. Gli spaghetti ci avevano fatto bene!
La nostra prossima destinazione era Ollantaytambo, ma segretamente speravo potesse essere Santa Maria o Santa Teresa.
Mi mantenevo in silenzio, ma mi ero messa un obiettivo: se fossimo arrivate a Ollanta entro le 13, avremmo avuto ancora qualche possibilità di trovare un mezzo che ci portasse su al Senor de Malaga.
Vi chiedete perche? Ollantaytambo è a circa 2.700 metri. Lì la strada finisce. Continua solo la linea del treno che va in direzione di Macchu Picchu. La strada asfaltata continua invece su, verso L’Apu Wakay Wilka, anche chiamato Veronica. Lì c’è il passo che si chiama Abra Malaga, e c’è una capella dedicata al Señor Abra Malaga.
La pista da Urubamba a Ollaytaytambo non è la piu raccomandabile. Sembrava un po’ abbandonata, piena di pietre e con poca segnalazione.
Più di una volta durante il percorso mi sono chiesta se fossimo sulla strada giusta.
Poi in realta non arriva esattamente fino a Ollanta: al km 7 si ferma, c’è una freccia in su che ti manda sulla strada normale.
Ore 13.00, con Waira ancora contro, siamo arrivate all’entrata del paese, ore 13.30 eravamo in piazza. Orario perfetto.
Sono andata a chiedere informazioni per un trasporto fino al passo e ho trovato subito Abel, che si è offerto di mettere nella sua auto noi e le bici e portarci per un prezzo onesto di 80 soles.
Sono corsa in piazza da Damiana, che già pensava di visitare i mille siti archeologici di Ollantaytambo, le ho proposto di andare su alla abra in auto a salutare Il Signor Abra Malaga.
Abbiamo caricato le bici in auto e siamo partiti velocissimi su per tante curve, salite e paesaggi spettacolari.
Erano gia le 3 del pomeriggio quando siamo arrivati al passo. Lì ci si doveva vestite di urgenza: ecco che finalmente lo zaino diventava leggero. Mettevo su la maglietta termica, il pile, la giacca a vento, allungavo i pantaloni, mettevo gli scaldamuscoli d’alpaca, i pantaloni di nylon, scarpe, berretto d’alpaca, l’altro berretto, i guanti, gli occhiali ed eccomi che uscivo dall auto come una palombara.
L’aria era freschissima e purissima. Due foto veloci, saluto e richiesta di benedizione al Señor Abra Malaga, benedizione da parte di Abel e via siamo volate giù verso la famosa selva amazzonica.
All inizio siamo andate piano, perche ci rendevamo conto della pericolosità: la strada era piena di curve ben strette e frequentata da camion, van, auto. Pian piano abbiamo preso confidenza e il ritmo è accelerato. Che bello, davanti a noi si stendeva tutta una valle!
Vedevamo lì, in lontananza, a fine valle, la nostra destinazione, Santa Maria. Circa 99 km di un percorso meraviglioso, dove passi alle Ande fino all Amazzonia. Vedi il cielo azzurro e poi, scendendo, cominci a vedere verde e verde e ancora più verde. Poi a un certo punto senti uno suono, forte, fortissimo, sembra il richiamo della foresta: sono le cicale che cominciano a cantare, mentre il cielo imbrunisce.
Ho cominciato a chiedere indicazioni, “Santa Maria?”,”Lejos o muy lejos es”, ti rispondeva la vecchietta di turno mentre tu pensavi “dove diamine dormiremo stanotte?. Abbiamo continuato a pedalare, perché altre opzioni non ne avevamo.
Poi abbiamo fermato un uomo: “10 km esatti”, ci ha risposto. Evvai, corriamo allora!
Era gia buio. L’intelligenza ci diceva di tirare fuori il cellulare e far luce, perché gli altri ci vedessero, ma le cicale cantavano una melodia che diceva, forza, forza, ragazze, 18.30 vi vogliamo a Santa Maria. Abbiamo pedalato come saette e alle 18.30 esatte ho frenato davanti al cartello Santa Maria. Brave!, cantavano le cicale.
Allora mi sono fermata. Eravamo felicissime. Siamo state proprio brave, sopratutto lei, che ha ben 45 anni ed è arrivata dall’Europa 4 giorni prima. E poi si è portata in spalla una bottiglia d’acqua di 1,5 litri, per ogni evenienza.
Ci siamo guardate intorno e abbiamo avvistato un localino da turisti gringo.
Così abbiamo conosciuto il nostro anfitrione, Charlie, un giovane di Cusco che si e sposato lì ed ha un ristobar. “Vediamo vediamo, dove vi mando, beh, da Hitler!”, ha detto lui. Mi è preso un colpo, come fa uno a chiamarsi con questo nome?
Non avevamo opzioni, così abbiamo conosciuto Hitler! Un simpaticissimo signore il cui nome è in verita William, ma visti i baffetti è stato ribattezzato. Il nostro William Hitler ha un posticino carino, con un bel giardinetto e degli alberi. Quella notte le due ospiti eravamo solo Damiana e io, quindi ci ha trattate benissimo.
Durante la sera siamo andate al ristobar di Charlie, che lavora con i gruppi portati dalle agenzie di turismo da Cusco. Di qui passa la rotta Inca Jungle per Macchu Picchu, quindi 3 gruppetti al giorno ci sono sempre.
Che bello, una sera al caldo, in pantaloncini e maglietta, perché una volta arrivate avevamo avvertito subito la dfferenza di temperatura dell’escursione termica. Che lusso ragazzi! Era da piu di un anno che non sentivo il caldo. A Cusco stiamo con il giubotto tutto l’anno.
Il giorno dopo ci siamo svegliate con calma, abbiamo fatto colazione da Charlie ancora una volta, perche lui conosce bene i gusti degli stranieri e ci ha proposto un ricchissimo buffet con tanto di caffe, succo d’arancia, macedonia di frutta, omlette di cioccolato, pane, burro e marmellata. Se avessimo scelto un posto peruviano, immagino ci avrebbero dato pesce fritto, riso bianco, lenticchie.
E poi siamo partite con il programma del giorno: raggiungere Mamita Santa Tierra di Quillabamba, ovvero la citta di Quillabamba.
Non essendo proprio chiare le informazioni ricevute per la nostra destinazione, qualcuno che ci diceva 50 km, qualcun altro che diceva 20 km, uno che diceva salita e discesa, l’altro pura discesa, abbiamo scelto di mettere le bici sul van, raggiungere Quillabamba, accendergli due candeline e poi raggiungere una delle tante cascate della zona.
Alla fine il percorso era un su e giu di 20 km, e c’era anche una strada bianca che mi è parsa piu adeguata per noi ciclisti. Ma ormai eravamo gia sul van.
Arrivando a Quillabamba abbiamo notato che era quasi tutto chiuso, anche l’ufficio del turismo, nonostante fossero le 11.
In piazza c’erano pure dei militari. Visto che io sono una rompiscatole, sono andata a bussare fortemente alla porta dell’ufficio turismo. AMi hanno fatto entrare dal retro, spiegandomi che erano in sciopero. Ho chiesto qual era la chiesa o il posto di culto principale della città: non sapevano.
A Cusco si parla spesso della Mamita Santa Tierra de Quillabamba, allora mi pareva logico a Quillabamba ne sapessero qualcosa. E invece, il colmo, non abbiamo trovato informazioni.
A quel punto, Damiana e io abbiamo deciso di dare i nostri omaggi alla terra del luogo nella stessa Plaza de Armas, e l’albero piu grande della piazza ha ricevuto i nostri ringraziamenti.
A Quillabamba fa proprio quel bel caldo da 30’C, quindi il bagno alla cascata veniva proprio bene.
Mi avevano detto che la cascata era a 7 km. Invece abbiamo scoperto che era a 25 km, ed era meglio andarci in auto. Abbiamo parcheggiato e bici e siamo andate a a rinfrescarci nela foresta. Qui le cascate turistiche sono private, si paga un entrata al proprietario del terreno, sono delle cifre simboliche. Noi ad esempio abbiamo pagato 2 soles a testa.
Pranzo veloce a Quillabamba, un sandiwich ciascuna, sempre perché erano tutti in sciopero, e ritorno a Santa Maria, a rilassarci.
Io ero proprio cotta, ma Damiana era entusiasta di tutto cio che vedeva, allora insistiva per andare fino alle piscine termali di Colcamayo, di cui io le avevo parlato molto bene.
C’ero stata 3 anni fa, ne avevo un bellissimo ricordo: varie piscine di acqua cristallina, calda, tra le montagne, tranquillita assoluta.
Beh… quest’ anno siamo capitate in un momento super pieno, verso sera, quando ci vanno tutti i turisti che finiscono i loro giri e tutti i bambini locali che vengono a fare ginnastica o semplicemente a farsi il bagno. Se volete dei momenti di tranquillita, andateci la mattina!
Ah, vi devo dire una cosa importante sulla strada Sta Maria-Sta Tereza, dove sono le terme:
la strada e’ proprio brutta! E’ sterrata, piena di curve, polvere, automobili e van pieni di turisti provenienti da Macchu Picchu e con un vero burrone costantemente a lato. Giusto qualche giorno prima era caduto giù un van. Il governo non asfalta la strada per interessi economici – lo sciopero che abbiamo trovato era anche per questo.
La gente lì è un po’ abbandonata: protestano per essere considerati, gli avevano promesso un università che pero non arriva, gli avevano promesso l’asfalto sulle strade che non arriva, e il progresso in generale non arriva. Inoltre Quillabamba è zona cocalera, che significa che coltiva la foglia della coca, che viene poi comperata da Enaco, un ente del governo, che poi la rivende sull’altipiano. Però questa benedetta foglia di coca, così come anche il caffè e il cacao che crescono lì, richiedono molto lavoro e danno poche soddisfazioni economiche, a meno che i contadini decidano di venderla a quei malandri che poi la trasformano in cocaina. Cosa che sta succedendo, perche non avendo un economia sufficiente, devono pur sopravvivere.
Il ritorno al buio per questa strada è stato accompagnato dalla preghiera costante di Damiana che sostanzialmente chiedeva di arrivare viva a Sta Maria, mentre io solo pregavo che ‘sta strada finisse al prima possibile, perche era peggio delle montagne russe.
Una volta arrivate, mi sono letteralmente rovesciata fuori dall’auto sul marciapiede e mi sono svuotata una bottiglia di alcol in testa, per ritornare a me stessa.
Il giorno seguente, mentre stavamo uscendo di casa, abbiamo visto Charlie che veniva a cercarci, per avvisarci di andarcene subito: lo sciopero stava iniziando anche a Sta Maria e avrebbero chiuso la strada per Cusco. Sembra che questa sia la pratica: quando la regione della Convencion litiga con Cusco, la capitale del dipartimento, i contadini di tutti i villaggi chiudono l’unica strada di comunicazione con Cusco. E sono cattivi e decisi, fanno delle vere barricate, non passa nessuno, dice Charlie.
Insomma, era un casino uscire, ma io avevo bisogno ancora di qualche giorno.
Mi trovavo bene a Santa Maria, la gente era simpatica, mi svegliavo con il conguettio degli uccellini. Ma Damiana il giorno dopo doveva assolutamente stare a Cusco; quindi abbiamo trovato un trasporto per lei e io sono rimasta nel villaggio.
Quel giorno gia alzavano le barricate e minacciavano che nessuno piu sarebbe passato finche Enaco non avesse pagato di piu la libra della foglia della coca.
Io me ne sono andata a casa a dormicchiare. Che bello, un po’ di tempo per me, senza pc, senza telefono, senza tablet, senza internet. Magnifico.
Il giorno dopo sono andata a Mandor, una cascata di circa 82 metri, nel pieno della foresta.
E ci sono andata in bici. Non sono 5 km come mi avevano detto, sono 20, e gia quasi Quillabamba. Non mi ha fermato nessuno, perché i protestanti bloccano le strade asfaltate, non quelle bianche. C’e anche una bella salita per raggiungere Mandor. La cascate sono due, ma io mi sono fermata alla prima, ero stanchina e sapevo che poi avrei dovuto pedalare altri 20 km di ritorno. E poi, pedalare da fame! Per fortuna che una giovane coppia aveva un piccolo negozietto per turisti e hanno fatto il pranzo pure a me.
Un pesce probabilmente in scatola patate lesse, un po’ di insalata. Si, perche in questi posti caldi, visto che non tutti hanno il frigo, si favoriscono le lattine, perché sono sterilizzate.
Mentre ero lì a chiacchierare con questa simpaticissima giovane coppia, tra l’altro lui è stato un importante ciclista peruviano, è arrivata una ragazza che spingeva una bici e, poco dopo, un ragazzo. Eh, questi erano ciclisti da giro del mondo! Erano sudati, provati e con un bel po’ di chili di borse su ogni bici.
Erano partiti da Buenos Aires un anno fa, il giorno precedente avevano raggiunto la meta, Macchu Picchu. Si meritano tutta la mia ammirazione. Hanno lasciato le bici al negozio e sono andati alla cascata, mentre io e Julio siamo rimasti a parlare di come sarebbe stato fare il giro del mondo in bici, perche a noi piace dormire comodi e mangiare bene, in modo tale da avere la forza per pedalare il giorno sucessivo. Ma molti argentini sembrano speciali: loro riescono a mangiare pane con pane, bere acqua, dormire in tenda e farsi chilomentri e chilometri con le loro bici.
Il giorno successivo volevo un giorno di calma, solo portare lo zaino avanti nel percorso di ritorno a Cusco, in modo tale da pedalare libera all’alba l’indomani. Ed ecco che mi ha avvistata il mio anfirtione, Charlie. “Dove vai, non vedi che e tutto chiuso?”
Gli ho spiegato l’idea e lui ha controbattuto: aggiungermi a un gruppo che cammina a Macchu Picchu. Ok, va bene. Ho accettato.
Mi ha messa subito sul bus dicendomi, “Ah, dimenticavo, prima andate a fare rafting!”. Ma Charlie!!
Non avevo mai fatto rafting prima, però mi pareva un idea carina. Ci siamo ritrovati al fiume, tutti in costumino e giubotto salvagente, con liistruttore che spiegava. Penso: mi ricordo che mi mamma mi ha detto di non andare mai a fare rafting, perché si puo morire. Oooh… e adesso che faccio? Me ne vado oppure “o la va o la spacca”?
Ero già sulla barca, quindi ho scelto la seconda opzione e “Che Dio me la mandi bona”. Il gommone è sceso giù per il fiume e per le rapide mentre il capo barca gridava “Remare, dentro, fuori, indietro…” io ero concentratissima, per non cadere.
Il percorso è durato un oretta, tra terrore e adrenalina. Poi ci siamo cambiati velocemente nel bus, che ci ha portati all inizio della camminata per Colcamayo.
E’ una rotta piena di gruppi di turisti, ma la puoi fare anche da sola. Circa ogni ora ci sono dei punti di ristoro, dove trovi tutto il necessario: bottiglie d’acqua, bibite, acqua, biscotti, cioccolatini, un piatto caldo, creme antizanzare. Oltre a questi punti, ci sono anche persone che vendono bibite energetiche durante il percorso stesso.
La camminata a Colcamayo è stato uno spettacolare saliscendi tra le montagne del luogo. Tutto verde, con sempre qualche fiume alla vista. Chiedete se ci sono i condor? No, i condor vivono sulle vette, qui è piu una zona da coloratissimi pappagalli.
Dopo circa 7 ore di camminata, ho intravisto un trabiccolo, accanto al fiume, nella nostra direzione. Era una specie di torretta, con due ometti locali al lato.
Da questa torretta andavano dei fili di ferro o acciaio abbastanza grosso fino all’altro lato del fiume, dove c’era un altra torretta e altre due persone. Sembrava uno di quei antichi sistemi per far attraversare il fiume alla merce. Sopresa: la merce eravamo noi, i turisti!
Ci siamo messi in coppia, seduti nelle cassette e via, spinti verso l’altra torretta per un percorso di un 150 metri. Non c’era tempo per pensare. Anche qui, ti potevi solo raccomandare ai piani superiori. Bon, siamo sopravissuti tutti, che bene!
Da lì, siamo entrati in un tunnel buio e fangoso; era una parte del percorso del treno che anticamente andava a Quillabamba. Era stato spazzato via dalle inondazioni qualche decennio fa. Non si sono mai preoccupati di rimetterla in sesto, questa linea ferroviaria, perché il terreno è stato letteralmente spazzato via.
Dopo le tenebre del tunnel, sono apparse all’orizzonte le terme di Colcamayo. E quando ci vai dopo 7 ore di trekking, i tuoi muscoli ringraziano. I miei compagni di trekking del giorno si sono fermati lì, per continuare il giorno seguente fino a Macchu Picchu Pueblo. Io invece sono tornata a Santa Maria, perché, a parte Charlie, nessuna sapeva dove ero andata. Però la compagnia era stata cosi buona che ho considerato di raggiungerli il giorno seguente.
E cosi è stato, però solo alla fine, perché ero arrivata tardi al punto d’incontro. Ma comunque c’e sempre un ordine nelle cose, perche mi sono trovata a camminare con un giovane americano in gamba.
In questi pellegrinaggi trovi sempre persone interessanstissime e vieni a scoprire o ricordare cose di te che avevi dimenticato.
Io per esempio mi sono ricordata della mia capacità empatica che fa sì che io sia come un filtro per le emozioni altrui: se sto vicino a persone tristi o depresse, mi sento diventare pesante come un mattone e non riesco piu a vedere le bellezze della vita, se invece mi trovo davanti a una persona come questo americano, che mi assomiglia, mi riempio di entusiasmo per la vita e sono un sole vivente.
Dopo 12 km di piacevole camminata al lato dei binari del treno di Macchu Picchu, arrivavamo a Aguas Calientes, oggi chiamato Macchu Picchu Pueblo.
Questo piccolo villaggio è la Disneyland del Sud America. E’ tutto un albergo, ristorante e punto vendita per turisti. Ogni giorno ne arrivano a migliaia, la maggiorparte con un treno carissimo che arriva da Cusco, alcuni altri per giri di trekking.
Il sito archeologico di Macchu Picchu è un po’ più in su; alcuni ci vanno in bus, altri a piedi. Io l’ho visitato 3 anni fa. Questa volta ho deciso di non andare a spingermi nelle mille file. Mi sono goduta Macchu Picchu pueblo, ho girato per le bancherelle, riposato, e il giorno successivo sono stata di ritorno, camminando alla stazione idroelettrica. Il luogo sacro di Macchu Picchu l’ho salutato durante il percorso.
Ringrazio Macchu Picchu e Wayna Picchu per avermi invitato a trovarli e scendo a cuore leggero e con l’animo rinnovato.
Che bello! Quanto si sta bene senza pc, smartphone, facebook, tablet e tutte queste cose! Per qualche giorno mi sono ripresa la libertà. Consiglio di farlo anche voi e, se volete venire fino a Macchu Picchu, io sono qui.