Home Autrici Pensavo peggio

Pensavo peggio

di Imelde Genito
guatemala

guatemala“PENSAVO PEGGIO”

I bambini, si sa, sono delle creature con una capacità di adattamento pazzesca.

Eppure, mai avrei creduto che i miei potessero dimostrarsi così diversi nelle tre vite che hanno già vissuto finora!
Praticamente, mi hanno dimostrato che lo slime (così chiamano ora quel giochetto di consistenza molliccia intrappolato in uno stato fisico di solido fluido, ai miei tempi si poteva chiamare blob, ectoplasma, schifezzuola appiccicosa) confrontato con loro è più rigido del panino riscaldato al microonde oltre un minuto.
Mi riferisco innanzitutto ai miei due bambini maggiori.

Carlo Javier, che ha quasi undici anni, nella sua prima vita in Italia era un bimbo vivace ma particolarmente selettivo nelle amicizie.

Si fissava con un amichetto ed erano tragedie. Se quello osava giocare con qualcun altro si poteva sfiorare la guerra fredda tra USA ed URSS.
figlio

Come lo aveva definito la maestra, era un gregario e non un leader, perché comunque un po’ impacciato nel proporsi agli altri.

In Guatemala,  trovandosi in un ambiente in cui lui risultava essere lo straniero proveniente da un paese considerato da sogno(c’erano bimbi giapponesi, israeliani, russi, nicaraguensi, honduregni, salvadoregni, messicani, peruviani, boliviani, argentini ma non erano invidiati quanto javier) si era creato il personaggio del genietto che, visto il programma didattico della scuola (seppur privata e di elite, nettamente inferiore a quello della scuola pubblica italiana), senza sforzi risultava essere tra i migliori in quasi tutte le materie; aveva perciò abbandonato il ruolo di gregario per essere invece uno dei più ammirati e corteggiati della scuola.
Sembrava godesse nell’essere popolare persino fra gli alunni della middle school e della high school, che lo salutavano all’uscita con “hey bambino”, dove “bambino” era il suo soprannome, essendo l’unica parola in italiano oltre pizza e mafia che conoscevano.
Blanca, invece, che in Italia prima di partire era una nanerottola estroversa ed affettuosa, in Guatemala si era chiusa nel mutismo più completo per un mese abbondante, scansando qualsivoglia contatto con maestre e bambini.
figlia
Una volta sentitasi a suo agio, aveva stretto un’amicizia diabolica con tale Luciano, assieme al quale si fregiavano di essere i migliori della classe, ma anche di essere i manipolatori di tutti i compagni.
La maestra ammetteva, non senza una punta di vergogna, di dover convincere prima Blanca e Luciano della necessità di svolgere una certa attività, perché poi ci avrebbero pensato loro a farla realizzare i compagni e a far rispettare gli ordini della maestra, come due sceriffi. Ho sentito i miei due bambini grandi assorbire lo slang della loro nuova patria (“mamma ma questo film è coolissimo!“), li ho visti mangiare mostrando entusiasmo persino l’arancia o il cetriolo con sale e pepita (la polvere di semi di zucca tostati), diventare fan del Santo (una specie di lottatore di wrestling messicano) e sorbirsi i suoi improponibili film (imperdibile quello in cui lotta contro delle mummie atzeche)e del reggaetón.

Una volta tornati in Italia, siamo andati a vivere in Abruzzo, mentre prima di partire vivevamo in Veneto.

In poche settimane hanno archiviato il dialetto Veneto, lo slang latinoamericano, la polenta e soppressa e i tacos con chicharrón, Enrique Iglesias e Shakira, per trasformarsi nei miei bimbi di oggi che dicono “mo’ ci abbuschi ” e trangugiano arrosticini di pecora a multipli di cinque come fossero stuzzichini.
Io, che prima di fare anche solo un trasloco consultavo tomi di pedagogia, cercando il consiglio giusto per non lasciare nel loro animo traumi indelebili legati al sentirsi spaesati e senza radici, mi sono ricreduta ed ho osservato con meraviglia come i miei figli abbiano saputo cogliere l’essenza del luogo che li accoglieva, preservando comunque il loro modo di essere, ma arricchendosi ogni volta di sfumature diverse, senza rimanere rigidamente fedeli alle abitudini precedenti.
Io, che mi sono sforzata con tutta me stessa di calzare alla perfezione in tutte le situazioni, non riuscendoci perché ricado sempre nel fare paragoni e classifiche (qui si sta meglio, qui si sta peggio), nel caso dei bambini pensavo sinceramente andasse peggio.
Io, che credo proprio di essermi dimenticata che i bambini hanno risorse che noi adulti abbiamo perso, sto cercando di imparare da loro a risorgere dalle ceneri mille volte, come l’araba fenice. 
gioco

Chi sono

Condividi con chi vuoi

Ti potrebbe piacere

Lascia un commento