Pizza ai ravioli.
Son certa che vi stiate chiedendo: che razza di diavoleria è mai questa? La pizza è pizza, e i ravioli son ravioli.
E invece, no. Qualche tempo fa, ho deciso di sperimentare la pizza ai ravioli. Lo ho fatto al riparo da occhi indiscreti. Per evitare nei limiti del possibile le rappresaglie del sovranismo culinario. Nella penombra della mia cucina.
Perché penombra?
Perché come ben ricorderete a Lione il sole scarseggia.
Bene: mai sperimentazione fu più azzeccata.
La pizza ai ravioli è diventata a tutti gli effetti la mia pizza preferita – perlomeno, in terra lionese. Premetto: non sono da annoverare tra quegli espatriati alla costante e disperata ricerca di caffè all’italiana, pasti all’italiana, pasta rigorosamente condita all’italiana. No.
Fin dalla mia prima esperienza all’estero, a Parigi, ho sempre avuto questa innata tendenza alla scoperta. E alla sperimentazione.
Preparavo addirittura la carbonara con l’emmental, tanto per darvi un’idea del livello avanguardista all’opera nella mia mini-cucina del mio mini-studio nel Quartiere Latino.
Non so se si trattasse realmente di curiosità culinaria, o se piuttosto si trattasse di spirito di adattamento, considerato che il pecorino era di difficile reperibilità.
Al di là di tutto, vivere all’estero porta con sé questa grande ricchezza: la ricchezza della scoperta di territori culinari nuovi, di sapori che stimolano le papille gustative in maniera altra.
Nel lontano 2007, nuovi sapori e nuovi prodotti cominciavano ad acquisire diritto di cittadinanza nella mia cucina. A Parigi, d’altronde, avevo l’imbarazzo della scelta: cucina vietnamita, giapponese, afghana, peruviana, basca.
Ma torniamo alla pizza.
E non immaginate però una pizza con i classici ravioli italiani, sostanziosi e ricolmi di farcitura. Di taglia consistente, insomma. I ravioli che son stati scelti dal pizzaiolo lionese come inquilini privilegiati della sua pizza sono i ravioli del Dauphiné.
Il Dauphiné (in italiano Delfinato) è un’antica provincia francese che corrisponde oggi, grossolanamente, ai dipartimenti dell’Isère, della Drôme, delle Hautes-Alpes, e dell’alta Val di Susa italiana. Il Dauphiné si estendeva fino ai sobborghi di Lione.
I ravioli del Dauphiné sono piccoli, e la ricetta originale prevede un ripieno di formaggio e prezzemolo. Vidi questi curiosi oggetti culinari per la prima volta nel frigorifero della mia coinquilina francese, quando abitavo a Bruxelles. Li guardavo sempre con sospetto, ogni volta che aprivo quel frigorifero. Il sospetto scemava però quando Danièle – la mia coinquilina, appunto – preparava questi piccoli quadrati di pasta ripiena.
Non sembravano poi così male.
E in effetti poi io e il mio compagno li abbiam provati proprio qui a Lione. Rucola, qualche pomodorino, e via. Ma non avremmo mai pensato che lo spirito avanguardista dei francesi potesse spingersi fino a lanciare dei ravioli su una pizza.
Una sorta di rivisitazione in chiave culinaria dell’action painting di Pollock. Ovvero: pizza come tela e ravioli come colore.
Una sera, decidiamo di tentare. E la pizza aux ravioles varca la soglia del nostro appartamento lionese.
Esitante, ne addento uno spicchio.
Tripudio di sapori, perfetta commistione di materia.
Quella benedetta pizza ai ravioli l’ho poi (ri)ordinata, più e più volte.
Così come, in ordine sparso: bevo caffè lungo alla francese, servo spesso sullo stesso piatto quelli che in Italia rappresentano il classico primo e il classico secondo, mi diletto in apericena insensati e forse non del tutto salutari a base di paté, tartine, hummus e finocchi, escargots e via dicendo.
Il diverso non mi fa paura. Il diverso è arricchente.
Uno dei miei ristoranti preferiti, qui a Lione, è un ristorante fusion: francese e brasiliano.
Ordino spesso in un locale che propone una rivisitazione del sushi in chiave peruviana.
Mangio la pizza con i ravioli (francesi).
Il bello nasce proprio dall’incontro tra culture differenti. Anche in cucina.
2 Commenti
Va bene, lo ammetto, non riesco nemmeno ad immaginarla una pizza cosí, da romana é off-limit. Mi piace sperimentare, mangiare altre cose, ma la pasta con la pizza “nun je la posso fa”.
Carla, ti capisco!
Se passi a Lione però, un tentativo lo farei.
🙂
Bonne soirée,
A