Avete sempre sognato di essere principesse per un giorno? A Doornenburg, in Olanda, si può, e pure per un anno!
È passato più di un mese e ancora mi rimbombano in testa quelle folkloristiche melodie olandesi. “Zak zak zak maar lekker door” (leggasi come “giù giù giù, dai ancor di più”). Ed ecco una ciurma di sederi olandesi, ondeggianti e inebriati dall’alcol, che scendono ritmicamente. Poi arriva quella canzone che fa “rechts rechts, links links” (“destra destra, sinistra sinistra”). Neanche il tempo di batter ciglio che mi ritrovo ad essere travolta dalla folla saltellante che va rispettivamente prima a destra e poi a sinistra.
Non che io non sappia le basi della lingua olandese, ma con qualche litro di Radler che scorre nelle vene e le assordanti urla di un popolo in festa, persino comprendere lo spelling del proprio nome diventa ardua impresa. L’immagine che vi si sta palesando vi suona? A ragione! Perché l’evento non è nulla di troppo lontano dalle sagre paesane a cui siamo abituati nel Bel Paese.
Ma riavvolgiamo il nastro dei ricordi e facciamo un passo indietro.
Queste memorabili giornate sono state anticipate da altre più stressanti e alla stregua di “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”. Il motivo? La scelta del vestito, o meglio, dei vestiti, al plurale. Ben quattro, per la precisione!
No aspettate, facciamo un altro passo indietro.
Il tutto è iniziato qualche mesetto prima, o meglio, tre mesi prima, per la precisione. All’epoca – ancora ignara della “militaresca” organizzazione degli olandesi e dei famosi inviti propinati giorni e giorni in anticipo – mi venne chiesto dalla famiglia del mio lui (olandese d.o.c.) di partecipare a questa festa nota come Kermis. Perché no? Mi sono detta. Il problema è che mi sono resa conto della solennità dell’evento solo una settimana prima del suo svolgimento.
Ma insomma, bando alle ciance, di cosa si tratta?
Bene, aprite le orecchie (e gli occhi). Nello sperduto paesino di Doornenburg, a sud-est della regione olandese di Gheldria, esiste da secoli il cosiddetto Schutterij.
Nata come una piccola milizia con lo scopo di difendersi dalle invasioni spagnole del XVII secolo e di garantire l’ordine pubblico, questa congregazione è poi sopravvissuta, se pur simbolicamente, sino ai giorni nostri. Chiunque può entrarne a far parte a patto che sia di sesso maschile, abbia compiuto il sedicesimo anno di età e nelle sue vene scorra puro sangue doornenburgese.
Ogni anno a settembre la tradizione vuole che alcuni paesani che fanno parte del club si sfidino in una competizione degna di “Giochi senza frontiere”.
I concorrenti devono sparare con un fucile ad un uccello fittizio, di legno, che sta appeso su un quadrante a circa 10 m dal suolo. Chi vince diventa re di Doornenburg e la moglie regina. Conseguentemente i figli, qualora ce ne fossero, divengono principi e principesse. Il tutto per un intero anno. Si tratta di un’usanza tipica dell’area sud-orientale dei Paesi Bassi; tuttavia la si può riscontrare anche in Germania e in Belgio.
La famiglia reale viene celebrata in pompa magna per la durata di cinque giorni.
Segue una settimana circa di cortei, musiche, danze, forbiti discorsi nel maestoso Castello del paese, piroette e spettacoli con le bandiere. E chi più ne ha più ne metta. Ora capite bene perché i figli dell’aspirante re – e le rispettive dame – devono tener in serbo una sfilza di abiti eleganti nel caso in cui la sorte voglia che facciano parte della famiglia vincente. È ciò che è successo a me. Il mio futuro suocero, ebbene sì, ha vinto, e delirio fu.
Al mattino sveglia rigorosamente puntata alle ore 7. Possono mai un re e i suoi fanciulli alzarsi tardi?
Ogni giornata si è aperta con:
– una colazione ambulante
– un urlo nel rendersi conto (con i capelli ancora bagnati) che mancano solo 10 minuti alla nostra trionfale comparsa
– un ossequioso discorso che celebrava la tradizione, i membri del club e il re con la sua sposa.
Il nuovo re (in questo caso mio suocero), è stato insignito di una sorta di corazza con medaglie d’argento che sono appartenute ai suoi predecessori.
Ogni sera re e regina, con famiglia reale al seguito (me inclusa, chiaro), sono stati introdotti nella cosiddetta casa delle feste.
Quest’ultima, situata nel minuscolo centro storico del paesino, si è vista invadere da una chiassosa fanfara e dai membri del club, vestiti con le tipiche uniformi rosso fiammeggiante, che trasportavano stendardi e bandiere. All’interno, il fragoroso popolo si posizionava ai lati della grande sala, tutti pronti ad applaudire nel momento in cui la famiglia entrava a ritmo della banda. Dall’apertura delle danze in poi, vigeva il detto “si salvi chi può”.
Su una specie di soppalco erano disposte delle lunghe tavolate ospitanti noi nobil uomini e nobil donne, nonché i fortunati amici. Su un palco al centro della sala, un gruppo musicale davvero in gamba ha alternato canzoni anglofone, tedesche e olandesi. Una latineggiante mai, neanche per sbaglio.
Il barbecue delle sette … del mattino!
All’alba del quarto giorno, una colazione improvvisata a base di carne arrostita ha invaso il giardino (riccamente decorato) del re e della regina. Spiedini e birra hanno dominato la scena. Io mi sono buttata sulla colazione più classica addentando un semplice croissant accompagnato da un caldo te.
Alla sera, sempre nel giardino regale, si è tenuta la cena delle ore 17. L’orario era perfettamente consono alle abitudini olandesi. Io, da brava italiana, la vivo sempre come una sorta di aperitivo pre aperitivo, più che come una cena vera e propria.
Momento imbarazzo
Concludo aggiungendo altre due o tre informazioni.
Dovete infatti sapere che:
- Sono stata la prima italiana a diventare principessa di un paesino olandese. (eh, vuoi mettere che soddisfazione ?)
- Non avevo messo in conto che, proprio in quanto tale, gli sguardi di un intero paese sarebbero stati proiettati su di me 24 ore su 24.
- Nella mia ignoranza, dunque, ho esagerato con il mio outfit. Mi sono dimenticata del fatto che mi trovassi in Olanda è non nella capitale della moda. Per cui ho indossato abiti decisamente troppo eleganti e che davano spazio a tacchi vertiginosi
- I miei tacchi sono stati i protagonisti indiscussi di tutte e cinque le serate. Ho ricevuto occhi strabuzzati e orbite rotanti dal tacco alle anche e dalle anche al tacco per più di cento volte a serata. Mi sono vista costretta a rispondere a domande quali “Rossella, stai bene?”, “Riesci a camminare con quei cosi?”, “Come fai a ballare con ‘sti marchingegni?”. Ho dovuto inventarmi una risposta alquanto snob al fine di smorzare i pettegolezzi, “Sono Italiana, noi italiane siamo abituate a indossare tacchi quotidianamente!” (Leggi: siamo fighe e temerarie, non ci importano i calli e i dolori lancianti del giorno dopo… forse!).
- Ho affogato il mio imbarazzo rifugiandosi nel baretto vicino alla casa delle feste, ordinando ogni sera le mie adorate kroketten e dando un attimo di riposo ai miei piedi supplicanti pietà.
Morale della favola: la prossima volta principessa sì, ma senza tacchi!
Chi sono
2 Commenti
Wat leuk voor je Rosella, je bent goed opgenomennin de Nederlandse gemeenschap en prima ingeburgerd! Wat een eer voor je! Che bello e che onore! Bella principessa.. è il tuo lui accanto a te? Veramente un Olandese D.O.C. siete una bella coppia! Se vede che stai bene tra di noi mi fa piacere, Dag, lieve groetjes, Elisabeth.
Hoi Elisabeth, ja, hij is mijn vriendje. 🙂 Heel erg bedankt, ik vind dit Nederland steeds leuker!