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Quando si emigra: l’annosa questione del pilu

di Silvia - Rabat
depilazione-marocco

Quando si emigra: l’annosa questione del pilu

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Trasferirsi in un nuovo paese significa lasciare la propria casa, gli affetti e le abitudini consolidate.

Significa abituarsi ad un nuovo quartiere, a nuovi supermercati ed a non perdersi nel tragitto per giungere sani e salvi sul luogo del nuovo lavoro.

Tutti lo sappiamo e tutti lo mettiamo in conto, una volta che decidiamo di emigrare.

Ma quello a cui non pensiamo mai, che non osiamo chiedere nei gruppi expat della nuova destinazione, che dimentichiamo fino al momento in cui le gambe non iniziano a diventare ruvide e pizzicanti è : e mo’, dove diavolo andiamo a farci i peli?”.

Questa condizione è aggravata, nel mio caso, dal fatto che solitamente le mie destinazioni presentano disagi di vario tipo e che, per preservare la mia integrità etico-morale, non trovo adeguato mostrare alla prima occasione che mi preoccupo di futili questioni.

Dato che, però, non credo che il pelo sbarazzino contribuisca alla causa umanitaria, dopo grandi lacrime e addii all’estetista del cuore, ogni volta mi ritrovo in gran segreto a dedicarmi ad una tragicomica caccia al tesoro.

Solitamente il mio schema di attacco prevede una prima seduta presso il centro estetico di un grande albergo.

In Nepal mi costò 25 euro di inguine e ulteriori 20 per un cocktail al bar del piano superiore.

In vista della seconda seduta, inizio ad entrare ed uscire da tutti i negozietti della zona attorno all’ufficio e/o nuova casa. Da copione, mi arrendo prima di tentare la sorte, tiro fuori un vecchio epilatore rallentato e mi sottopongo all’auto-tortura.

A questo punto, ormai, siamo al terzo mese e sono depilata irrimediabilmente a chiazze. Torno al grand hotel per gestire la situazione: almeno fra le gambe.

La SPA del grand hotel, alla lunga, non soddisfa mai le mie aspettative.

Certo, gestisce l’ansia di contrarre l’epatite C, ma la sensazione ricorrente è quella di essere maneggiati da un’infermiera su un letto di ospedale e non certo di passare un’oretta tutta per me dedicata al benessere ed alla cura personale.

Così, al quarto mese, la mia ricerca continua; dopo qualche irritazione e qualche sbruciacchiamento, riesco a trovare finalmente una timida sostituta dell’estetista del cuore.

Le sue caratteristiche sono: autoimprenditrice, possiede un piccolo salone modesto ma curato, maniaca dell’ordine, attenta alla pulizia e alla caccia all’ultimo pelo.

Upgrade non richiesto: una televisione che trasmette ininterrottamente soap opera e/o reality in lingua locale a tutto volume.

Spesso, non troviamo nessuna lingua in comune, il che rende tutto ancora più improbabile.

A volte mi faccio capire a gesti.

In Cambogia, invece, andavo con un’amica che si prestava come interprete. Lei, molto pudica, si sedeva sulla poltrona e chiedeva di fare solo i baffetti… si girava verso di me e mi trovava già completamente nuda stesa sul lettino!

Qui in Marocco, ormai, ho imparato le parole base.

Ma appena usciamo dal seminato, Latifa, così si chiama la prescelta del posto, mi chiede “perché non hai ancora imparato l’arabo?”.

Io corro ai ripari inviando messaggi su whatsapp ad una collega a proposito delle frasi giuste da utilizzare che, prontamente, provo a leggere:

“Lnnnnddddir..la cire (questo è facile) aisselles mmmmlli 3ndik (???) lwaqt…”

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