Quel che manca e sempre mancherà:
lettera all’Italia
Cara Italia,
è da tanto che non ci vediamo.
L’ultima volta che sono venuta a trovarti è stato per uno spiacevole episodio.
Come spesso avviene tra amici, ci si vede nel momento del bisogno.
È da tanto che non ci vediamo ma parlo di te tutti i giorni, sai?
Parlo delle terzine di Dante e di Paolo e Francesca, del loro peccato di lussuria, di Caronte e dei gironi.
Parlo del Giro d’Italia e della Commedia dell’Arte, parlo del cappuccino, della pizza e del fatto che l’uno non si beve assieme all’altro, lì, dalle tue parti.
Parlo delle portate al ristorante: l’antipasto, il primo, il secondo, il dessert, l’Amaro del Capo. Diamine! È così difficile esportare questa usanza delle “cene e pranzi come fosse ogni giorno Natale” all’estero? A me manca da morire! Io con una zuppa di pomodori, alle sei del pomeriggio per giunta, non mi ci riempio lo stomaco!
Parlo delle tante odiate particelle “ci” e “ne”, di cui un italiano – anche non istruito – non NE può fare a meno.
Parlo anche del tuo lato oscuro, di quella zona d’ombra che ti appartiene e che ci fa un po’ vergognare, di quella cosa di cui l’amico di Impastato alla radio diceva che, in fondo, “ci identifica”: parlo di Gomorra e dei Cento passi.
Parlo del “magari”, che se detto con una certa intonanzione vuol dire “forse”, se detto con un’altra enfasi vuol dire “sarebbe bello”, “lo vorrei tanto”, “mi faresti un favore” e mille altre sfaccettature che solo una parola italiana può avere.
Parlo del “mi raccomando a mamma!” che… che come lo spiego questo a uno scandinavo? Eddai!
Parlo del “mah”, del “beh”, del “boh”, del “ma dai” e dell’”eddai!”, appunto.
Parlo di questo, e molto altro, ad occhi vispi ed attenti, azzurri come il cielo, ad occhi allungati, che scompaiono quando faccio una battuta. Parlo di questo e altro a uomini, donne, adolescenti di tutto il mondo, curiosi, con la pelle pallida come la luna o scura come la notte.
E ringrazio il cielo, e l’Italia, per permettermi di fare questo lavoro che mi porta ogni giorno ad essere a contatto con persone di culture distanti. La mattina sono in Australia, la sera viaggio in Brasile.
Ringrazio te, cara amica Italia, per avermi dato i natali e per permettermi di vivere, di pagarmi il pane per i miei denti, semplicemente insegnando la cultura che così tanto ci contraddistingue e la lingua che Thomas Mann definì “la più bella”.
“Gli angeli nel cielo parlano italiano”, scrisse.
E come dargli torto? Qualcuno si è mai fermato a riflettere sulla nostra lingua? Su come suona? Su quante sfumature abbia? Su come ampollosa possa essere? Su come poetica e musicale sia? Romantica, scorrevole, dolce, icastica, complicata, sexy e chi più ne ha più ne metta.
Qualcuno ha mai pensato perché sia la quarta lingua più studiata al mondo?
Io sì, e mi sono creata una mia teoria. Perché l’inglese lo impari perché devi, la società ti impone di farlo. Lo spagnolo lo impari un po’ perché ti piace, un po’ perché è utile ed è parlato da molte persone in svariati paesi.
Ma l’italiano? L’italiano lo studi per passione!
Pura, autentica, genuina passione. Ho pochi studenti che mi abbiano detto “studio italiano perché vado a lavorare in Italia”. Non c’è lavoro per noi, figuriamoci per gli altri. Ma tutti, dal primo all’ultimo, mi hanno sempre detto “studio l’italiano perché mi piace. Mi piace la lingua, mi piace la cultura”.
Cose come la Gioconda, il Colosseo, Andrea Bocelli, la Ferrari, Giorgio Armani, la pizza, spingono persone dagli angoli più sperduti del pianeta a imparare la nostra lingua, a curiosare nella nostra cultura, a provare ad essere come noi.
E questo un po’ mi gonfia il petto, che dire! Perché se una lingua, una cosa in generale, la devi fare, ti viene imposta da esigenze esterne, la si dimentica poi e, nel “durante”, non la si gode. Ma se una cosa la studi per passione, allora trovi il tempo e le energie per farlo.
Esattamente come avveniva per il libri che le insegnanti – come me ora – ci obbligavano a leggere a scuola. Io “Piccole donne”, da piccola donna appunto, me lo sono divorato in qualche manciata di ore. Ma “Niente di nuovo sul fronte occidentale” ci ho messo mesi (tutti quelli concessi dalla professoressa) a sfogliarlo e digerirlo.
Ma torniamo a noi, cara Italia.
L’altro giorno stavo facendo il caffè, con la macchinetta Bialetti – sì, quella con l’omino che punta il dito verso l’alto, mentre parlavo al telefono con mamma. L’aroma, dopo qualche minuto, ha invaso la casa e ha impregnato anche i tulipani rossi sul tavolo.
Quei gesti, mettere l’acqua, creare con un cucchiaino la montagnetta di caffè sul filtro a imbuto, stringere forte la caffettiera, e quel brubulubulububrubulu che fa quando è pronta, mi hanno fatto sentire molto italiana.
Sono queste le piccole cose che cerco di trasmettere agli alunni stranieri assetati della nostra cultura.
Perché in fondo, diciamocelo, gli unici a non essere consapevoli della ricchezza della nostra terra, delle nostre strade, dei nostri edifici, delle nostre abitudini, delle nostre canzoni, dei nostri film, della nostra storia, siamo noi: noi italiani. Confessiamolo.
Cara Italia,
oggi ti scrivo proprio perché quel suono del caffè che ribolle nella macchinetta mi ha resa nostalgica.
Nostalgica di piccoli gesti italiani che mancano, e che mancheranno sempre.
Oggi ti scrivo perché, dopo aver assistito ad un matrimonio alla olandese, ho rimpianto le fastose cerimonie dei matrimoni italiani e persino il discorso solenne, sempre uguale, del prete in chiesa. Ho rimpianto la pancia gonfia fino a scoppiare e le tarantelle cantate in dialetto.
Ti scrivo perché quello spontaneo “Oh, scendi che ho fatto il caffè”, urlato nella tromba delle scale, le mie orecchie non lo ascolteranno più.
Ti scrivo perché questi occhi, i miei occhi, non vedranno più case bianche e tetti piatti, chiese dell’anteguerra e templi della Magna Grecia.
E questi occhi, i miei occhi, piangono un po’ ora che queste immagini sono solo un ricordo, ben impresso nella mente, ma che non appartiene più alla quotidianità.
Ti scrivo perché …
Anzi, ti scriverò un’altra volta. Sono le cinque e mezza e qui tutto chiude, tutto muore allo scoccare delle sei. Devo fare una corsa al supermercato e sperare di trovare le rare vaschette di bresaola che ogni tanto mettono al Plus sotto la voce “Italianse Specialiteiten”.
Ma ti scriverò, amica mia, te lo prometto.
Ti scriverò perché, in fondo, anche se sono felice, tu sei tutto quel che manca e che sempre mancherà.
Chi sono
27 Commenti
Bellissimo post. Hai toccato tutti i punti, tutte le sfumature e lo hai fatto benissimo. Evviva la nostra bella Italia! Ps. Sarà l’età o l’effetto della lontananza ma ieri quando ho visto le immagini della festa della repubblica al tg mi sono proprio commossa…ma quanto sarà bello il nostro tricolore?
Ciao Solare,
sono contenta di essere riuscita ad esprimere un sentimento che, noto, è comune a molti italiani che vivono all’estero. Anche io mi emoziono per le ricorrenze del nostro Bel Paese: il giorno della Repubblica pochi giorni fa, il discorso di Conti di stamane, e così via. Sono momenti che ci rappresentano e che ci fanno essere orgogliosi, nonostante tutto.
È davvero questa la spina nel cuore che abbiamo: nonostante siamo felici, è tutto quel che ci manca e ci mancherà sempre!
Bellissimo articolo.
Quanto è vero Catia.
Io, alle persone che mi chiedono se sono felice in Olanda, rispondo sempre di sì. In questo momento della mia vita sono molto felice qui. Ma poi mi rendo conto che lo sono perché mi sono circondata di quella italianità che, appunto, manca e mancherà ovunque vada. Ho un gruppo di amici “mediterranei”, diciamo, con cui l’amicizia è spontanea, le uscite pure, nulla è programmato e tutto è naturale e sincero. Compro cibo italiano e mangio a casa, con la radio italiana di sottofondo. Insomma, sono contenta qui, ma non lo sarei senza queste piccole abitudini nostrane che ho trapiantato nella mia vita olandese.
Bellissimo e ricco di verità il tuo post.. e mi ci sono sentita tanto dentro in quanto di mestiere faccio lo stesso.. insegno italiano?io sono arrabbiata con l Italia e con gli italiani, per tante cose, ma a volte mi dimentico lo splendore e unicità che avvolge L Italia e la caratterizzerà per sempre. Brava!
Grazie al nostro lavoro, forse, ne siamo un po’ più consapevoli. Riempe di orgoglio vedere quante persone – bambini, adolescenti, anziani – siano interessati alla nostra cultura e vogliano addirittura imitarci. Siamo andate lontano, è vero, ma la nostra è una cultura troppo forte e influente per essere abbandonata del tutto.
Mi sono commossa, giuro. Anche a me mancano tante, tantissime cose del luogo che continuo a chiamare “casa”!! In Spagna sto bene ma non sarà MAI la stessa cosa, non potrei essere più orgogliosa di essere italiana!!!
Ciao Ali,
io ho anche vissuto in Spagna. Lì, forse per la maggiore vicinanza alla nostra cultura, ho sentito meno quel sentimento di italianità che mi pervade quotidianamente vivendo qua in Olanda. Ma in realtà le differenze ci sono anche con i nostri “cugini iberici”, hai perfettamente ragione, e persino lì in Andalucia mi sentivo ancora più a casa quando veniva cantata una canzone italiana o c’erano eventi dedicati alla nostra terra.
Mi sono emozionata tantissimo…vivo a Dublino da anni e in questi giorni c’e il sole..a me il sole ricorda casa,le prime giornate di caldo seduta al portico di casa mia,le prime sagre e le chiacchiere fino all’imbrunire,con le finestre aperte per il caldo puoi sentire il chiacchiericcio e la tv del tuo vicino di casa…mancano..mancano tante cose ma per chi vive lontano ha imparato a convive con questa malinconia
… i panni stesi fuori, le anziane sedute nei vicoletti a spettegolare, il rumore delle posate sul piatto e la sigla del tg all’ora di cena…
Eh sì, cara Marta, sono dettagli significativi, piccoli ma allo stesso tempo così intensi da mancare come l’aria!
…il rumore delle posate, il tg all’ora di cena e le chiacchere dei vicini che puoi solo sentire e non vedere che si spargono nell’aria estiva ….patrimonio dell’umanità! E la lista di Marta potrebbe andare avanti all’infinito.
Anch’io insegno l’italiano (in Francia).
Il tuo post mi ha fatto venire il magone: ho gli occhi umidi.
Ciao Sera,
sono contenta – come ho commentato prima – di aver espresso uno stato d’animo che caratterizza molti di noi italiani all’estero. Quando si è lontani, ripristinare abitudini e usanze nostrane è l’unica ancora di salvezza. Io, nel mio piccolo, lo faccio: cucinando italiano, mantenendo gli orari italiani per i pasti, dando importanza al pranzo, insegnando italiano tutti i giorni ecc.
Con questo non voglio dire che ritornerei or ora in Italia, ma solo che ci sono alcuni aspetti della nostra cultura a cui non posso rinunciare.
Ormai ho vissuto più all’estero che in Italia e ancora mi mancano queste piccole grandi cose. Sono stata anche fortunata a trascorrere 6 anno in Italia con mio marito americano e i nostri due figli. Così tante cose che amo della nostra terra sono intrecciate con l’infanzia dei miei figli, ricordi teneri che riempiono il cuore e aggiungo un’altra sfaccettatura alla nostalgia.
E si, il caffè della Bialetti con tutto il suo rituale è il mio spazio italiani a cui non rinuncio per iniziare la mia giornata: Starbucks non hai potere su di me!
Buona giornata a tutti, il caffè mi aspetta.
Ciao Barbara,
spero il tuo caffè sia stato ancora un po’ più intenso e buono, ancora un po’ più italiano, dopo aver letto questo mio articolo. 🙂 Vivendo all’estero, si abbracciano nuove tradizioni e si mantengono quei piccoli dettagli italiani che ci caratterizzano troppo e da cui non possiamo staccarci.
Cara Rossella,
ho lasciato l’Italia per scelta, in 4 anni non ho mai provato un solo attimo di nostalgia. Oggi, leggendo il tuo post, per la prima volta, mi sono sentita italiana o, meglio, ho sentito l’italianità scorrere nelle mie vene. Come te insegno e, fino a questo momento, non mi ero mai resa conto di parlare d’Italia tutti giorni e dell”impegno che metto per far comprendere la mia, la nostra cultura.
Grazie Rossella e, per una volta mi concedo di dirlo, grazie Italia.
Ciao Annalisa,
sono contenta che i miei pensieri siano riusciti a smuovere qualcosa persino nel tuo animo. è sempre la stessa solfa: ci sono alcune cose che ci fanno desiderare di vivere all’estero e altri aspetti della nostra cultura a cui non riusciamo proprio a rinunciare.
Ciao Rossella, da Italiana in Olanda da quasi 5 anni sento di condividere tutti i sentimenti con cui hai scritto questo post… Devo dire che il fatto di trovare con relativa facilità molti prodotti italiani qui nei supermercati un po’ aiuta (ricordo ancora la prima volta che ho visto il pecorino nel banco frigo di Jumbo, stavo per commuovermi dalla felicità!), ma come dici tu, certi atteggiamenti del quotidiano che diamo tutti per scontato quando siamo in Italia mancano e mancheranno sempre. Trovo che gli olandesi siano un popolo poco spontaneo, molto organizzato, e forse è questa la cosa che spiazza di più i primi tempi qui, nel bene e nel male. Recentemente ho comprato anch’io una moka Bialetti anche se non bevo spesso caffè, ma quell’aroma e quel borbottio del caffè che sale mi fanno sentire più a casa 🙂
Grazie per aver condiviso questa lettera!
Hai usato parole azzeccatissime, Silvia! “Un popolo poco spontaneo e molto organizzato”, per quanto il mio ragazzo sia olandese e io lo adori così com’è! 😀
E anche io, quando trovo la bresaola o la pasta sfoglia al Plus o all’Albert Hijn,, mi emoziono e mi sento un po’ più a casa.
In quale città vivi ?
Ciao Rossella, che articolo bellissimo hai scritto!
Quale modo migliore per far conoscere l’Italia nel mondo se non attraverso la lingua?
Sto per cominciare il corso DITALS e non vedo l’ora di mettere in pratica quello che imparerò.
Mi piace molto anche l’onestà con cui menzioni i lati oscuri del nostro Paese, perché è giusto parlarne e spiegare tutti i meccanismi che ci sono dietro.
Ciao Isabella, grazie di cuore!
Anche io sto studiando per passare il Ditals. Per ora sto insegnando online 🙂
Volevo chiederti un consiglio: con i principianti assoluti usi una lingua-ponte come l’inglese oppure parli solo ed esclusivamente in italiano?
Grazie
Ciao Isabella. Dipende molto dallo studente a cui do lezioni (io le do individualmente e online). Ci sono alcuni alunni che se parlo solo in italiano e non sanno neanche l’ abc dell’italiano restano, giustamente, a occhi sgranati davanti allo schermo. Questo produce solo frustrazione in loro, dunque inizio utilizzando la loro lingua comfort (inglese o spagnolo) “contaminandola” poco a poco con l’italiano. Ogni lezione che do, abbandono gradualmente la lingua veicolare e parlo solo in italiano. Ci sono poi degli studenti principianti che, vuoi per attitudine alla lingua, vuoi perché conoscono un’ altra lingua neolatina, arrivano facilmente a comprendere gran parte di quello che dico dopo pochissime lezioni; in questi casi uso solo l’italiano. Se insegnando ad un gruppo di studenti comunque farei un mix di lingua veicolare e lingua di apprendimento per le primissime lezioni, giusto per dare le basi, per poi abbandonare la lingua di comunicazione il prima possibile. Come dice Balboni, la lingua di comunicazione si può usare nei momenti di trasporto emotivo o qual ora la comprensione e comunicazione sia ostacolata.
Se insrgnassi a un gruppo*
Qualora*
(Scusa ma sono dal cellulare e non riesco a vedere
Bene quel che scrivo )
Ciao Rossella,
Quando siamo lontano del nostro paese, apprezziamo più le cose speciali, spesso cose piccoli, che abbiamo lasciato là e che ci mancano. Ma questo desiderio ti fa più consapevole d’aspetti tipici dell’Italia, e perciò i tuoi lezioni sono più vivaci e interessanti, dando non solo la conoscenza della lingua, ma anche della vita e la cultura italiana. Sei una vera ambasciatrice d’Italia.
Grazie Roberto,
l’Italia, nonostante alcuni suoi lati oscuri, è così ricca di cultura e fascino che rende orgogliosi noi italiani e rende appassionati gli insegnanti che vogliono trasmettere questo amore per un paese, una lingua e una cultura a persone aperte, colte ed entusiaste come te!