Intervista a Gulnara, Russa che si è trasferita prima in USA, poi in Cina ed oggi vive in Italia.
Le abbiamo chiesto di parlarci dei suoi espatri e delle sue impressioni sul vivere adesso nel nostro paese.
Perchè l’Italia, vista con gli occhi di chi “italiana non è” può essere un paese diverso da come lo vediamo noi…
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Gulnara tu sei originaria della Russia: qual è il primo ricordo che ti viene in mente quando pensi al tuo paese?
Vedo la mia mamma, che abita ancora lì, e penso alla grandezza geografica della Russia. Mi tornano in mente anche i particolari della città dalla quale provengo.
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Prima di venire a vivere in Italia sei stata un’ expat in USA e in Cina. Paesi molto diversi tra loro, ce ne vuoi parlare?
Ho abitato quattro anni a NYC, poi altri quattro anni in Cina a Shanghai. Il mio cuore però, nonostante le esperienze oltreoceano, batte forte per l’Europa.
Sono approdata dalla Russia negli Stati Uniti dopo il mio primo Master ed è qui che ho subito cominciato a fare esperienza della vita adulta. Ero sola, senza genitori, ma avevo cari amici accanto. Gli Stati Uniti sono diventati invece una seconda madrepatria, mi hanno dato la possibilità di osservare il mondo da un’altra angolazione e mi hanno fatto maturare in fretta. Forse oggi, con la famiglia, non sceglierei una città come NYC per vivere, ma potrei scegliere una località nei dintorni e spostarmi nella grande mela come pendolare per lavoro.
In America ho sperimentato la sensazione di sentirmi bene integrata ed accettata. Forse perché a NYC ci sono molti europei o forse perché gli americani sono molto aperti, educati, viaggiatori navigati e dagli orizzonti molto larghi. Secondo me l’American Dream esiste ancora: in USA vige il sistema della meritocrazia, con obiettivi chiari nella mente si possono trovare le strade per raggiungerli. Adoro gli Stati Uniti, anche se non amo il loro sistema sanitario che considero alla stregua di un’industria per fare soldi, non un istituzione per curare la gente.
In Cina invece mi sono trasferita sia per amore sia per studiare MBA, ho seguito quello che sarebbe diventato mio marito. Non parlavo cinese ed è stata dura. Ho subito cominciato a studiare la lingua con un’insegnante privata e, passo dopo passo, sono riuscita a trovare un equilibrio, stringendo amicizie con i compagni di scuola. Nel 2007 non erano tanti gli expat in Cina e gli stranieri godevano ancora di uno status preferenziale. Faccio un esempio: potevi andare in un night club con le infradito – ti accettavano volentieri per attirare il pubblico locale – visto che quest’ultimo pensava che “se ci va uno straniero deve essere un posto molto cool!”
Shangai è per certi versi un po’ come NYC: una città di transito, dove gente parte, arriva e cerca di muoversi e fare amicizia al meglio per il periodo che sosterà in questa città.
Di solito gli stranieri abitano nei quartieri destinati ai non-cinesi, nel gated community, dove si può vivere per anni senza conoscere una parola di cinese, serviti e riveriti da domestici filippini. Noi vivevamo fuori da quell’area e la nostra esperienza è stata molto più esposta alla cultura del posto.
Oggi la situazione è cambiata: dopo le crisi del 2008, non ci sono più quegli expat costosi, sono arrivati tanti stranieri in Cina con la speranza di trovare un lavoro o di studiare la lingua. Anche i Cinesi, con la crescita della loro economia, sono diventati più nazionalisti, meno tolleranti verso gli stranieri. I miei amici cinesi erano, in maggioranza, quelli che avevano avuto la chance di studiare o lavorare all’estero.
Ho trovato i cinesi solari, gentili, curiosi, ospitali, ambiziosi, dei veri “hard-working”, patriottici. Sono anche molto studiosi, ma non sono abituati a ragionare sulle cose, piuttosto sono abili a ricordarle. Mi sentivo abbastanza integrata ma non completamente, perché il nostro look non-asiatico non ci permette mai di essere uno dei loro, neppure se tu fossi sposata con un cinese e parlassi la lingua come un nativo.
Parlare cinese aiuta tanto, scioglie il giaccio, puoi essere indipendente nella tua vita quotidiana. Quando sono entrata nell’azienda presso la quale ancora oggi lavoro, ero la prima straniera ad essere assunta, quindi tutto il lavoro si svolgeva in cinese. Ho migliorato tantissimo la padronanza della lingua proprio grazie al lavoro. Nell’ambiente professionale loro non si fidano troppo degli stranieri per cui ho impiegato almeno un anno per “dimostrare il mio valore” e conquistare la loro fiducia.
Un’altro aspetto positivo in Cina è la sicurezza per le donne: gli uomini cinesi non sono sessualmente aggressivi quindi potevi tornare a casa dopo la mezzanotte e non c’era nessuno che ti guardava, fischiava, molestava.
Oggi vado in Cina per viaggi di lavoro. Vado volentieri perché mangio del cibo che mi piace, mi faccio fare i massaggi che amo, incontro gli amici. La Cina è stata un’esperienza preziosa e indimenticabile.
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Come sei finita a vivere nel nostro paese?
Nel 2007 ho messo un’immagine di Firenze per gioco su Facebook e il commento diceva: “la mia prossima casa”. E` stata una profezia. Dopo il matrimonio mio marito, che è di Verona, mi ha convinto prima a lasciare l’America per la Cina, e poi la Cina per l’Italia, trasferendo qui la sua azienda.
Ho impiegato più di un anno a convincere la mia azienda a farmi trasferire in Italia. Alla fine, nel 2011, la mia compagnia cinese mi ha mandata a lavorare in Italia. Per questa azienda multinazionale ricopro il ruolo di dirigente. E’ una bella sfida per una donna giovane come me. C’è una sede a Bologna ma se non devo viaggiare, lavoro da casa – questa è una dimostrazione di fiducia da parte del mio capo cinese – e siccome tre anni fa è nata nostra figlia io mi divido adesso tra due ruoli: quello della donna in carriera e quello della mamma.
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Cosa ti piace dell’ Italia?
Per me l’Italia è un posto da sogno, un luogo che ho idealizzato molto. Amo le cose che tutti amano dell’Italia: il cibo, il sole, la natura, la storia, la cultura, la prossimità a tutta l’Europa, l’alta qualità della vita, l’amore per i bambini.
Gli aspetti deludenti sono la difficoltà nel fare business – non c’è supporto dal parte del governo, manca il concetto di “mentorship” o di “success-sharing” come in America, noto l’assenza dei investitori, la burocrazia asfissiante, la mentalità di scarsità invece che di abbondanza. In Italia non pensano nel lungo termine: la gente ha il proprio cerchio di amicizia che all’occorrenza sostiene ed aiuta – cerchio dove è difficile entrare – e questo alla fine esclude ogni meritocrazia.
Secondo me, l’Italia è un paese stupendo per le vacanze o per andare in pensione se si ha la disponibilità economica necessaria.
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Adesso sono 5 anni che vivi in Italia, cosa è cambiato nel tuo sguardo verso questo paese?
Sono stata fortunata ad avere mia figlia qui per i suoi primi anni di vita. L’Italia è un ottimo ambiente per i bambini
Purtroppo trovo l’Italia provinciale, la gente non è ambiziosa né curiosa di cosa gli altri paesi fanno per evolversi. Qui mi manca soprattutto l’ internazionalità, la presenza degli expat internazionali con una carriera, la positività, la dinamica e lo spirito della città grande (forse perché abito in un paese di 20.000 abitanti vicino Verona).
Soffro nel vedere la mancanza di orgoglio degli Italiani per la loro nazione: quante bandiere tricolori vedete alle finestre durante la festa della repubblica? Io sono una delle poche persone che espone la bandiera! In TV non parlano mai dei successi degli Italiani e delle aziende, che invece servirebbe a dare un esempio e a motivare positivamente gli altri all’azione concreta. Percepisco un senso di fatalismo diffuso: si lamentano in casa, ma non parlano in pubblico delle cose che non vanno come la politica, la corruzione, gli immigrati, etc.
Quando ho affrontato il settore pubblico ho avuto la percezione che gli impiegati ti facciano un favore invece di adempiere semplicemente ai loro ruoli.
Per fortuna non ho sperimentato la ricerca di un lavoro in Italia ma immagino che sarebbe stato difficile proporsi alle aziende italiane come direttrice con esperienza di business all’estero, senza avere dei buon contatti su suolo italico.
Dopo aver vissuto in Italia per cinque anni, siamo di nuovo pronti per un nuovo espatrio. Vorremmo trasferirci in paese che offra ispirazione e risorse, abbia un ambiente favorevole per lavorare, aprire un’azienda e crescere figli. Chiedo troppo forse? Appena troveremo un’ opportunità soddisfacente partiremo subito.
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Parlaci dell’integrazione. E’ facile integrarsi in Italia?
Non mi sento integrata anzi, ho sviluppato un complesso d’inferiorità.
Nel piccolo paese dove vivo in Italia non ci sono immigrati di un certo livello, per cui io sono trattata alla stregua di una qualunque extracomunitaria che, nell’immaginario collettivo italiano, è venuta a “succhiare il possibile dal sistema di sostegno sociale, non lavora e non paga le tasse”.
Un’altra cosa che ho notato è che appena mi sentono parlare con il mio accento straniero si rivolgono a me con il “tu”, e non con il “lei” come si converrebbe ad una persona che non si conosce.
Poi in Italia si è schiavi del “look”: ho volutamente fatto degli esperimenti e mi sono accorta che, presentandomi negli stessi uffici vestita come business woman oppure con una t-shirt e delle infradito il modo con il quale venivo trattata cambiava in maniera incisiva.
Trovo che gli italiani siano simili ai russi per certi versi: non sono facili da avvicinare quando non li conosci. Anche quando mi reco all’asilo per prendere mia figlia vorrei scambiare qualche chiacchiera con le altre mamme ma vedo poco interesse a creare un vero scambio e spesso, dopo un semplice “ciao” ognuna se ne va per la propria strada. Insomma, a me piacerebbe chiedere, confrontarmi, conoscere, ma non sento lo stesso desiderio dall’altra parte.
Anche mio marito, dopo aver vissuto 15 anni all’estero, sta riscontrando delle difficoltà nell’instaurare e mantenere dei rapporti sociali. I vecchi amici non ci invitano più e non accettano i nostri inviti. Succede invece che facciamo più amicizia con le coppie miste come noi, che mi sembrano più socievoli.
Mi piacerebbe fare amicizia con gente dallo stesso background nostro, con professionisti sia italiani che stranieri con esperienza internazionale alle spalle, aperti, viaggiatori.
Ho conosciuto solo poche persone cosi`.
C’è anche da dire che quando vado nei centri storici delle città mi vedono come una turista e mi sento trattata meglio.
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C’è qualcosa che vorresti dire a noi italiani in merito al nostro rapporto con gli stranieri?
Vorrei invitarli ad essere più curiosi degli altri, a dare più credito alla gente che viene in Italia.
Certo, l’Italia attira tanti immigrati perché gli italiani permettono che ci si approfitti di un sistema senza contribuire. Questo fa sì che tanti immigrati arrivino e restino qui come parassiti, senza rispettare le regole e soprattutto senza essere puniti. Ma gli italiani si lamentano in privato di questa realtà mentre dovrebbero affrontarla di petto e pubblicamente.
Vorrei infine ricordare che c’è un’altro tipo di immigrati: sono quelli che vengono in Italia in cerca di una vita migliore, vogliono lavorare, integrarsi, rispettare le regole e contribuire alla nazione. Quelli che fanno i sacrifici, quelli che non vedono i propri familiari per anni pur di stare qui a lavorare mandando nel frattempo i soldi a casa sperando così di poter migliorare la condizione economica della loro famiglia lontana. Meritano il rispetto anche loro, giusto?
Oltre le apparenze e le cortine ci sono sempre persone vere con cui interagire, da cui imparare e con cui condividere.
Concorso Letterario per Racconti “Espatrio: le paure ed il coraggio delle Donne”, aperto fino al 31 luglio 2017.
Special Guest
1 Commento
Che bella storia!!
E non hai idea di quanto mi trovi d’accordo con questa affermazione “Purtroppo trovo l’Italia provinciale, la gente non è ambiziosa né curiosa di cosa gli altri paesi fanno per evolversi. Qui mi manca soprattutto l’ internazionalità”
E purtroppo te ne accorgi solo quando vivi all’estero o, come te, vieni da un altro Paese.