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Saltellare in punta di piedi

di Samanta - Jena DE
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Quando penso a me stessa, mi piace pensare di essere un po’ come una tartaruga. O una lumaca.
Perché se da un lato entrambe fatto della lentezza una caratteristica importante – un po’ come io ho fatto in questi ultimi anni in termini di decrescita à la Erbaviola -, dall’altro hanno un’altra importante caratteristica in comune: portano la propria casa – che è anche una protezione, una corazza, uno scudo – sulle spalle. Quando si spostano hanno con sé già tutto il necessario, insomma.
Questo – naturalmente – non significa che io non mi munisca di valigie e cartoni in fase di trasloco, ma sta a simboleggiare il fatto che ogni cambiamento inizia e finisce sempre con noi.
L’ultimo mese – per farla breve ed evitare dettagli che non interessano a nessuno – è stato massacrante. A livello fisico e mentale. Tra problemi familiari, impegni di lavoro, dottorato e stanchezza accumulata, non sempre riuscivo a trovare quella scintilla di positività che di massima non mi abbandona mai. Se – insomma – sono nota tra i miei amici per il mio famoso “Alles wird gut. Positiv denken: wir sind helden” (Andrà tutto bene. Pensa positivo: siamo eroi), in queste ultime due settimane li ho visti corrermi dietro preoccupati perché – o almeno così dicono – sono una pessima bugiarda e le mie rassicurazioni non li convincevano per nulla.
Poi, finalmente, la svolta: i miei tanto agognati tre giorni di vacanza a trovare un’amica che si è trasferita in Norvegia dopo la laurea triennale.

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Erano settimane che sognavo – anche ad occhi aperti – il momento in cui il mio aereo sarebbe atterrato a Gardemoen e mi sarei lasciata alle spalle problemi e beghe, anche se solamente per un paio di giorni. In nessuno dei miei sogni – nemmeno nei più arditi – mi ero però figurata l’imponente meraviglia di quello che mi sarei trovata davanti.
Mi ero immaginata paesaggi bianchi, innevati e silenziosi. Davanti a me, invece, si stendeva l’enorme massa d’acqua del fiordo, l’imponente bellezza di una natura selvaggia eppure incredibilmente elegante, il rumore della risacca a cullare i miei pensieri. Ho riflettuto tanto in questi tre giorni. Ho lasciato pensieri e preoccupazioni finalmente liberi di fluire dentro e fuori di me sino a ritrovare quell’equilibrio che un poco sentivo di aver perso. Ho chiuso gli occhi e li ho riaperti su un mondo bello, prezioso, che amo e che – a modo suo – mi ama. Che ama tutti noi. Anche quando ci fa disperare. Anche quando vorremmo prendere il muro a testate oppure seppellirci nel piumone e affogare i dispiaceri nel cioccolato.

Ho perso l’equilibrio – non solo metaforicamente. Ho fatto un volo spettacolare, al Parco Vigeland 😉 – e l’ho riacquistato. Mi sono persa e ritrovata nel modo migliore in cui potessi farlo: rimettendomi in movimento.

Insomma, per farla breve, in questi giorni mi sono ricordata di una cosa molto importante: a volte, il miglior modo per mettere a fuoco problemi e preoccupazioni, la miglior maniera per arrivare a risolverli è prendersi una pausa. Fermarsi, chiudere gli occhi e respirare. Guardarsi da fuori per mettere a fuoco cosa ci fa star male e cosa possiamo sistemare. Ognuno con le proprie tempistiche e i propri metodi. A piccoli passi, a volte persino provando a saltellare, ma rimanendo sempre in movimento. Perché – è vero – le battute d’arresto esistono ma quella che non deve mancare mai – proprio mai – è la voglia di andare avanti.
Perché siamo eroi, sempre e per sempre (cit.). Anche quando inciampiamo nel mantello d’ordinanza.

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