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Sette anni, undici traslochi, mille emozioni

di Katia
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Sette anni, undici traslochi, mille emozioni

Testimonianza inviataci da Angela, Edimburgo

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Son qui nella mia casa a Edimburgo, alla vigilia del mio settimo anno nel Regno Unito, circondata da scatoloni, scotch e la mia vita da imballare. Di nuovo. 

Sette anni fa, finito il mio percorso di studi e l’abilitazione in Architettura, ho chiuso la mia vita in due valigie.

Mi sono buttata a capofitto su un’avventura nuova che sarebbe dovuta durare qualche mese o un annetto e, invece, si è estesa nel tempo fino ad oggi, con alti e bassi e ad una velocità da far venire il capogiro. 

La mia emigrazione è avvenuta per diverse ragioni. Voglia di avventura, di apprendere la lingua inglese a livello professionale, mettermi alla prova e conoscere un paese nuovo e la sua cultura. Chiaramente questo ben si sposava con la situazione di crisi economica post 2008 che faceva sì che già i primi (cioè i migliori) laureati nel mio corso a Valle Giulia, vivessero situazioni di lavoro critiche e non adeguate alla loro preparazione. È certamente stato uno stimolo in più a partire per me, che non ero messa male, ma comunque non ero il genio del corso. 

All’epoca il mio fidanzato si era da poco trasferito dall’Italia nella città di Middlesbrough, una sorta di Springfield dei Simpson nel nord est del Regno Unito. 

Decido di raggiungerlo e di sondare il terreno per trovare lavoro. Con una lista presa da una ricerca Google di tutti gli studi di architettura della zona e una trentina di cv e portfolio fresco di stampa, faccio il giro a tappeto e mi presento. Di lì a poco riesco ad ottenere un colloquio presso quella che poi fu la mia prima esperienza lavorativa come architetto in UK. Piccolo problema: lo studio era in un’altra città, collegata molto male con quella in cui mi trovavo. 

Non volendo chiedere permessi speciali a lavoro visto che ero appena assunta; perciò ho passato il primo mese alzandomi alle 4:45 del mattino, prendendo il primo treno delle 5:30. Poi un autobus dalla stazione centrale di Newcastle per arrivare così allo studio alle 8:00 puntuale. E questo anche al ritorno, per essere a casa alle 21:00.

Dopo un mese ho perso circa 7 kg pur mangiando come uno scaricatore di porto nel giorno di Natale. Allora ho capito che forse avrei dovuto traslocare per mantenere un briciolo di lucidità mentale e non diventare un ceppo tutto pelle e ossa. Dopo una settimana in affitto su AirBnB cercando appartamenti in orari improbabili, finalmente trovo una casa in città e posso cominciare la mia vita da Geordie DOC. 

Nonostante il mio inglese abbastanza buono – e di questo non potrò mai smettere di ringraziare la mitica e insostituibile professoressa di Liceo Linguistico grazie al cui insegnamento ho campato di rendita per ben oltre quindici anni – ammetto che la terra Geordie e l’accento così stretto mi hanno reso l’esperienza non poco agevole: i miei primi mesi sono stati costellati di graziosissime emicranie che aumentavano in base al numero di meeting tecnici a cui dovevo partecipare. In pratica tra lo stare al passo con le conversazioni e lo studiare nuovi vocaboli di settore, il mio cervello era quasi tutto il tempo in pappa. 

A parte questo, devo ammettere che conservo un buon ricordo delle esperienze lavorative che ho fatto anche dopo che ho ingranato meglio con l’inglese tecnico: ho imparato e fatto molto. 

La vita è trascorsa bene, nonostante i momenti di difficoltà tipici di tutti noi expat.

Attimi che possono derivare dal dover risolvere problemi quotidiani o emergenze improvvise in completa solitudine ed in una lingua straniera. Questo è parte di tutti quelli che emigrano, che la corazza si crea da sola, per istinto di sopravvivenza, perché purtroppo quando si è lontani dai propri cari, non si ha la rete di protezione. E se si cade non ci sarà nessuno a raccogliere, a medicare le ferite, né a consolare. Le distanze di migliaia di chilometri, nonostante il telefono ed internet, allentano le comunicazioni: nonostante si cerchi di rimanere in contatto, non è raro vedere persone che si allontanano “perché tu sei quello che se n’è andato”. 

Ciononostante, ho avuto la fortuna incredibile di condividere questo percorso col mio migliore amico e marito. Siamo stati una squadra, la roccia l’uno dell’altra vivendo tanti sacrifici, raggiungendo traguardi e superando difficoltà sempre insieme. 

Da un punto di vista emotivo, la nostra vita qui è stata una montagna russa di emozioni perché costellata da moltissimi eventi impattanti: decine di traslochi, tanto da essere ormai diventati professionisti dell’imballaggio perfetto in poco tempo; molteplici cambi di lavoro e di progetti; un matrimonio organizzato a distanza; tanti lutti di persone molto care, così devastanti da sfinirci dalla solitudine e dalle lacrime asciugate a vicenda; ma anche tante sfide che hanno portato a bei risultati. Uno di questi: la nostra prima vera casa a Edimburgo. 

E in tutto questo possiamo essere un pizzico orgogliosi, dando uno sguardo a dove tutto è cominciato. 

Oggi, a sette anni da quel giugno tanto coraggioso quanto spaventoso per l’inizio di una vita nuova in un paese sconosciuto, le prospettive sono cambiate. 

È tempo di scrivere un nuovo capitolo delle nostre vite e non bastano più due valigie per contenere tutto. 

Le scatole che mi circondano raccolgono oggi tutto quello che siamo stati in grado di costruire in questi anni e tutta la forza ed il cuore che ci abbiamo messo. 

Ce le porteremo in una nuova avventura e nelle altre che avverranno. Un po’ la lacrimuccia scende. Ma è tempo di cambiare binario. 

Prossima fermata: Italia. Si torna a casa. 

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