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Stoccolma una settimana dopo.

di Antonella Svezia

La città si risveglia.

Sono passati alcuni giorni dall’attentato e tutti torniamo alla vita di prima, o forse no.

Anche se questi fatti di violenza succedono continuamente ovunque, e ho consapevolezza che possano accadere in una qualsiasi altra città come Parigi o Berlino o Roma, fino ad oggi mi ero sentita sicura in questa capitale del lontano nord, un po’ distaccata dal resto d’Europa.

L’attentato del 7 aprile a Stoccolma ha cambiato il mio modo di vivere. Lo sento, lo capisco dal mio comportamento, dai miei pensieri.

Vi racconto.

Lascio passare il fine settimana senza recarmi sul luogo, seguendo i consigli della polizia, che ha chiuso la zona per svolgere le indagini. Vado in città ma non scendo in centrale, bensì alla fermata di Gamlastan, la parte antica. Mi dirigo a piedi verso il punto dell’accaduto, Åhlens.

Cammino tra le vie strette e lunghe, supero la casa del parlamento, vedo il palazzo del Nobel sull’isola di Kungsholmen alla mia sinistra, proseguo diritta e arrivo alla piazza di Sergel, la piazza vicina al luogo dell’attentato. Non sfugge alla mia attenzione che per le strade ci sono molti poliziotti in divisa; vedo macchine in sosta lungo tutto il percorso e la cosa non mi rincuora, anzi, significa che sono preparati a un nuovo atto di violenza.

Guardo la gente che passa, mi giro a guardarmi attorno, osservo con cura i passanti che mi si avvicinano – cosa indossano, che borse hanno, le scarpe, se hanno il cappuccio o se sono a testa scoperta, quelli con la barba lunga mi rendono particolarmente irrequieta. Guardo le macchine che mi passano accanto, osservo se ce ne sia qualcuna in posizione sospetta. Un senso di insicurezza mi assale: insieme a me, cammina la paura.

Fa freddo, un freddo gelido e io stessa devo infilarmi il cappuccio della giacca. Forse gli altri penseranno che io sia una terrorista, con il mio piumino nero.

Arrivo a Sergel e lo spettacolo mi commuove. Sono stati riposti sulle scale tutti fiori per commemorare le vittime. Quattro i morti e quindici i feriti, tra cui alcuni in gravi condizioni.

Questo atto terroristico ha aperto le porte per una nuova Stoccolma, una Stoccolma impaurita, ma anche più vicina. Il 9 aprile, su questa piazza, una grande folla di centomila persone si è radunata per protestare contro il terrorismo. Cantanti e artisti del mondo dello spettacolo, politici e tutti noi parte del popolo sovrano vi abbiamo partecipato. Uno spettacolo emozionante, pieno di un sentimento di solidarietà che ha coinvolto tutta la folla.

Mentre sono ferma in questo luogo penso al colpevole, il 39enne di origine uzbeka, simpatizzante jihadista, al quale venne negato il permesso di soggiorno in Svezia e che avrebbe dovuto essere espulso a fine febbraio ma che invece si nascose per evitare l’espulsione coatta. Lui, il vile, si è macchiato di questo atto ripudiante, ha cercato di incutere paura nella società democratica della Svezia. E ci è riuscito!

Ora la giustizia farà il suo corso e, a dire degli esperti, il vigliacco finirà in prigione per il resto della sua vita.

Ma io mi chiedo: chi spiegherà questo alla mamma e al papà di Emma, la ragazzina di 11 anni falciata dal camion? Chi spiegherà questo ai genitori del bimbo che era in bicicletta nella zona pedonale e che è in fin di vita? Chi lo spiegherà alle altre famiglie coinvolte? Chi potrebbe tollerare di sapere che suo figlio, o un suo caro, è morto per caso, per mano di uno squilibrato, che avrebbe dovuto essere espulso, che era conosciuto alla Sepo e che nessuno è riuscito a trovare?

Un’immagine dalla tv.

Sempre le notizie tv informano che il capo dei servizi segreti della Sepo svedese sta controllando tutta la cerchia di conoscenze dell’assassino, il quale sembra avesse 4 figli. Dai dibattici televisivi, intuisco che tra i politici ci siano opinioni contrastanti sulla legge anti-terrorismo. Alcuni partiti vogliono limitare la libertà di quelle persone che simpatizzano per il gruppo terroristico IS. Mi chiedo se sia sbagliato.

Ogni anno rientrano 150 cittadini svedesi che hanno combattuto per l’IS; questi, in base alla legge sulla privacy, possono andare e venire come vogliono. Un ricercatore racconta che i rientrati vengono sottoposti ad una riabilitazione, che però è facoltativa; se la persona si rifiuta, lo Stato non può fare nulla, se non aspettare che commetta un reato dimostrabile in loco.

Nella vicina Norvegia la legge è stata cambiata; oggi tutti coloro che aiutano cittadini coinvolti in atti terroristici, siano essi cuochi o cittadini che si occupano di procurare passaporti o viaggi, vengono considerati anche essi terroristi.

In Francia, dopo l’attentato a Nizza, c’è maggior sorveglianza, è aumentato il numero di poliziotti sulle strade e sono state montate telecamere in punti strategici.

Al centro di Stoccolma non c’è una sola telecamera; alcune sono permesse all’entrata dei negozi e sui binari del treno, ma il controllo telematico va contro il concetto di società libera della Svezia.

Non mi sento soddisfatta di questo e, da oggi, desidero contribuire attivamente per combattere il terrorismo, nel mio piccolo, nel mio ambiente pedagogico.

Il pensiero che siano riusciti a fermare l’assassino solamente perché già era conosciuto ai servizi segreti e che questi non abbiano potuto espellerlo mi fa paura, mi fa sentire paralizzata.

Lui è riuscito a prendere l’ultimo trenino in partenza dalla centrale, quello delle 14.59, solamente 6 minuti dopo l’accaduto, lasciando innocenti a morire. Non ci devono essere limiti al corso della giustizia per atti simili.

Desidero che si votino leggi più dure per combattere questi vigliacchi che si nascondono dietro “la religione” con lo scopo di creare terrore ai danni di chiunque invece ami la libertà.

Non mi sento di usare lo slogan dei politici, cioè che il terrorismo non riuscirà a incutere paura nella società democratica e aperta svedese.

Desidero fatti non parole, per me e per i miei figli, e per i figli dei miei figli, e per tutti gli innocenti.

La società svedese è troppo ingenua e se migliorarla significa creare delle leggi più dure, io mi sento di dire di sì.

Firmato: una expat che crede nella giustizia.

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2 Commenti

Solare 15/04/2017 - 01:57

Direi che la società svedese è molto utopistica e avanzatissima nel valutare e riconoscere il diritto di libertà personale che si riflette poi in negativo in questa mancanza di leggi restrittive per chi commette atti discutibili, come andare a combattere con l’isis e tornare. Purtroppo è vero che questa libertà, per come stanno le cose in questo momento storico è un lusso che non sembra ci si possa permettere. Credo anche che sia inevitabile doversi rendere conto che volenti o nolenti siamo tutti legati, al di là di quello che un paese reputa essere migliore per se stesso, alla fine nessuno può isolarsi in posizioni troppo estreme perché il nemico da combattere è unico e riguarda tutti e non resterà fuori da certi paesi solo perché loro non lo tengono in considerazione nel progettare le loro società come in questo caso la Svezia che ha una cultura dell’accoglienza e del rispetto della libertà personale e della diversità. Peccato però arrivare a desiderare di essere spiati e controllati e bloccati a causa di questi criminali.

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Antonella Svezia 15/04/2017 - 23:06

Ciao Solare,
hai centrato nel segno.
Io non la definerei utopistica, ma direi che il concetto di libertá era valido se condiviso da cittadini tutti uguali e cioé fino a quando in Svezia vivevano solo cittadini culturalmente svedesi era possibile. Oggi la societá é multiculturale e ció significa che ci vivono non solo persone diverse ma anche persone con ideologie estreme, persone che non condividono gli stessi ideali, persone che sfruttano il sistema, insomma un po’ di tutto. La cultura dell’accoglienza non é usata allo stesso modo da tutti, per cui per la sicurezza degli innocenti é necessario rinunciare alla libertá estrema. E poi non ci vedo niente di male a montare delle telecamere per strada sulla zona pedonale della cittá. Non desidero che vengano chiuse le frontiere, credo veramente che ci siano persone che vengono perseguitate e che debbano essere aiutate, ma un maggior controllo é necessario. Grazie del tuo commento!

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