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Storia di una gravidanza a Barcellona

di Chiara - Barcellona
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Anche oggi sveglia da prima dell’alba e in attesa.

Ormai superata la quarantesima settimana e con un parto programmato in pochi giorni se la pigrizia del nostro piccolo l’avrà vinta, posso guardare indietro agli ultimi nove mesi e farne i bilanci necessari.

Il mio desiderio di maternità parte da lontano, ma le cose della vita, si sa, spesso ci allontanano dai nostri sogni.

Dopo il trasferimento a Barcellona, la mia storia d’amore ormai pienamente rodata con ben due matrimoni e 4 anni di espatri e vita assieme, ormai trentasettenne e con una situazione economica decisamente più stabile di qualche tempo addietro, io e Sara abbiamo deciso di provare ad allargare la nostra famiglia.

La Spagna permette di ricorrere alla fecondazione assistita sia tramite la sanità pubblica (se si risiede e lavora qui e si ha meno di 40 anni), sia privatamente a coppie etero e omosessuali e a donne single.

Così, circa un anno e 9 mesi fa, ho richiesto la prima visita con la mia ginecologa per chiedere informazioni e capire cosa fare per muovere i primi passi lungo questo percorso che, fin da subito, ci avevano prospettato come emotivamente e fisicamente complicato.

Uno dopo l’altro ho inanellato esami del sangue approfonditi da effettuare durante il ciclo, ecografie, una isterosalpingografia dolorosissima, comunicazioni con la banca del seme e varie visite.

Avendo poi effettuato ogni passo tramite la sanità pubblica, i tempi di attesa si sono dilatati: quasi 11 mesi dopo sentivamo di aver superato con successo queste prime prove che la burocrazia ci aveva imposto, provando a noi stesse che la nostra determinazione andava al di là di ogni snervante attesa.

Ad un mese dalla fine dell’anno, tutto, in teoria, era pronto, ma un viaggio di lavoro e le vacanze di Natale in Italia ci hanno indotto a pensare che sarebbe stato meglio attendere l’anno nuovo.

Gennaio 2018 è arrivato in un batter di ciglia.

Abbiamo nuovamente fatto visita alla dottoressa che mi aveva seguito nei mesi precedenti e che ci ha illustrato le due possibilità che avevamo a disposizione: procedere naturalmente con l’inseminazione  o cercare di favorire il processo tramite iniezioni, con un maggior rischio però di parto gemellare o plurigemellare, ma con più alte probabilità di successo.

Ci è piaciuto optare per la seconda possibilità e, nell’ultima settimana di gennaio, siamo entrate in fibrillazione per il primo tentativo di inseminazione.

In Spagna la legge impone l’anonimato al donatore: il banco del seme richiede solo i dati, le fotografie (sia da adulti che da bambini) e le caratteristiche fisiche dei futuri genitori, incaricandosi poi di cercare un donatore che possa combinare al meglio con la coppia. 

Sia io che Sara eravamo emozionate, con il cuore in gola e ansiose.

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Le due settimane seguenti ci sono sembrate lunghissime e il quattordicesimo giorno ho fatto due test di gravidanza.

Minuti di attesa febbrile ma niente, su entrambi gli stick è comparsa una sola lineetta: entrambi erano negativi.

La delusione è stata cocente, ho versato qualche lacrima, ma avevo dentro di me la sicurezza che a breve ci avremmo nuovamente provato e così ho tenuto duro.

Nei giorni successivi, tuttavia, sentendomi costantemente sottosopra, mi sono decisa ad effetuare un nuovo test che, con nostra enorme sorpresa, ci ha rivelato che in realtà ero incinta!

Da lì in poi, con controlli cadenzati ed ecografie periodiche, la dottoressa mi ha seguito durante tutto il primo trimestre.

Giunti al termine dei primi tre mesi tutto procedeva da manuale e la dottoressa si è congedata  rivelandomi il suo stupore nell’aver avuto così poco tempo per conoscerci e sottolineando la mia fortuna.

A quel punto sono rientrata nella routine tradizionale delle visite previste in gravidanza: ecografia trimestrale, esami del sangue e urine, vaccino contro la pertosse, analisi di ricerca dello streptococco, monitoraggio di pressione, battito e glucosio (fortunatamente, dopo un falso allarme e una curva glicemia, non mi hanno diagnosticato il diabete gestazionale).

Felici più che mai, alla prima opportunità, abbiamo chiesto di conoscere il sesso della creaturina che mi cresceva dentro: dopo aver tentato di decifrare le immagini mostrate dallo schermo dell’ecografo ci è stato comunicato che avremmo avuto un maschietto!

Nel frattempo la mia vita continuava, tra il lavoro, la ricerca di una nuova casa e, una volta trovata, l’organizzazione del trasloco.

Sara si occupava di me ogni secondo e insieme abbiamo navigato lungo i primi 7 mesi in relativa tranquillità.

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Il giorno in cui, però,  avevamo previsto di spostarci  nel nuovo appartamento, la doccia fredda: una emorragia e la corsa in ambulanza verso l’ospedale. Il bimbo stava cercando di venire al mondo e, con fatica ed un ottimo e puntuale lavoro, i dottori sono riusciti per ben due volte a frenarlo.

Dopo un ricovero di circa una settimana sono stata mandata a casa con obbligo di riposo assoluto e con vari medicinali da assumere per evitare nuove sorprese.

Ho dovuto lasciare con rammarico il lavoro prima di quanto previsto.

Ho passato il seguente mese e mezzo spostandomi dal letto al divano o poco più e uscendo da casa solo per le visite di routine.

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E così siamo arrivate al 19 ottobre, data in cui sto scrivendo, con il termine passato da due giorni ed io che consumo a piedi scale e strade più che posso.

Il nostro piccolo Noah continua a muoversi come una piccola anguilla nella mia pancia e i dottori hanno programmato l’induzione del parto per il giorno 24 ottobre.

Come ogni donna agli ultimi giorni di gravidanza, mi sento sfinita e ansiosa di avere tra le braccia nostro figlio.

Ma provo anche grande gratitudine: il piccolo sta bene e, nonostante gli intoppi, anche io sono in salute.

Ho potuto essere seguita da professionisti seri e attenti, ho scelto l’ospedale in cui partoriró e stiamo per diventare mamme legalmente e saremo entrambe riconosciute come tali sull’atto di nascita del nostro piccolo Noah.

Mi fermo e penso: chi lo avrebbe mai detto?

Chi avrebbe mai pensato che tutto sarebbe cambiato così in fretta dopo anni e anni di sogni piegati e riposti in qualche cassetto?

Mentre vedo la mia pancia che fa le onde sorrido, felice una volta di più di questo nostro ultimo espatrio.

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1 Commento

Alia 21/10/2018 - 14:46

…anche in italia sará riconosciuto figlio di entrambe??io e mia moglie siamo in causa da 2 anni..aimé

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