Da quando sono rientrata da Johannesburg, nel Gennaio scorso, non ho più avuto la sensazione di vivere all’estero, di essere una “straniera”.
La cosa ha finito con l’infastidirmi e di tanto in tanto anche rattristarmi. Finita la stagione esotica della mia vita? Così presto?
Mi è mancata tantissimo la sensazione di portare una ventata di italianità nel luogo in cui vivo, la ricchezza di poter rappresentare, nel mio piccolo, un simbolo della mia patria.
Mi manca il fatto di mescolarmi ad altri stranieri ed essere immersa in un cerchio di conoscenze ed amicizie di stampo internazionale!
Non vivo a Ginevra o a Zurigo, dove questo invece sarebbe possibile.
Faccio fatica a sentirmi “diversa”, laddove la diversità è sempre stata per me ricchezza, multiculturalità, scambio.
Sono in Svizzera, ma la dogana è a qualche chilometro da casa.
Parliamo (quasi) la stessa lingua ma non sono più in Italia.
Somiglianze e tratti in comune si intrecciano a differenze culturali marcate anche negli aspetti più banali che riflettono le due nazioni e le loro mentalità.
Ritornare in Svizzera, per di più nel Canton Ticino, non ha rappresentato, per me, un vero e proprio spostamento in un paese straniero.
Prima di tutto, perché era già stata questa la destinazione che ha preceduto i due espatri negli Emirati Arabi prima ed in Sudafrica poi.
In secondo luogo, avendo già vissuto qui per tre anni e avendo addirittura acquistato casa in questa regione, il mio sentimento cardine era quello di “tornare a casa”, per l’appunto.
Una casa, nella fattispecie, fisicamente occupata al momento da una coppia di inquilini riottosi e antipatici, ma pur sempre una casa nostra, che necessitava solo di venir recuperata da noi, nella speranza che fosse restituita nel miglior stato possibile… cosa che, dopo qualche diatriba, si è verificata senza enorme complicazioni, per nostra fortuna.
Non so dire se il ritorno in Svizzera così facile sia stato il sintomo della relativa agilità con la quale ormai ho sottoposto me stessa e la mia tribù a svariati quanto rapidi adattamenti a nuove mete.
Quel che è certo è che, forse, non me la cavo male in fatto di relazioni interpersonali.
Nel tempo, ho mantenuto poche ma sincere amicizie con alcune persone speciali incontrate in Ticino.
Di conseguenza, il mio atterraggio a Locarno è stato davvero alquanto morbido.
Sapevo già dove sarei andata a parare con le due scuole dei miei figli e praticamente dal giorno 1 avevo in mano un paio di lezioni di yoga a settimana da impartire nelle due realtà più significative del territorio, che non è vasto: insegnare negli studi giusti è di fondamentale importanza per farsi conoscere e accrescere il numero dei potenziali allievi.
Certo, avessi potuto scegliere, avrei fatto a meno di ritrovarmi nel mezzo dell’inverno più rigido degli ultimi anni, considerato che arrivavamo da un triennio senza basse temperature e che i miei figli erano praticamente “nudi” in questo senso; ma tutto sommato, a parte il normale timore per un raffreddore di circostanza, non nutrivo altre reali paure per il rientro in terra elvetica.
“Tutto bene quindi, no? Di che ti lamenti allora?”, chiederete voi.
Il fatto è questo.
Pur riassaporando all’istante la bellezza del paesaggio che ci circonda, pur apprezzando di nuovo tutta la praticità e l’efficienza del modus operandi svizzero in praticamente ogni settore di competenza, la snellezza burocratica, la linearità degli aggiornamenti delle pratiche che riguardano ogni singolo spostamento in una terra straniera, pur sentendomi felice e grata di esser tornata a sonni dolci e tranquilli, lontano dalle paure che nutrivamo a Johannesburg, pur gioendo del fatto che i miei figli riprendessero ad andare e venire da scuola liberi e tranquilli, dopo i trascorsi sudafricani, continuavo a sentire questo senso preciso di “non trovarmi veramente all’estero” mai.
E’ solo di recente, però, attraverso delle puntuali capatine in Italia, tra la Toscana, la Lombardia, il Piemonte e l’Abruzzo, che ho realizzato in effetti di non avere il diritto di fare questa osservazione.
E lo ho realizzato attraverso quattro situazioni banali ed una considerazione.
Attraversare la strada
In Italia gli attraversamenti pedonali hanno strisce molto spesso “scolorite”: un disastro. Oppure, trovi un semaforo pedonale di un controviale o tra due vie traverse di una strada più ampia: se non ci sono mezzi all’orizzonte o sono ancora ad una distanza che si ritiene sicura, passano tutti. Tutti: dalla vecchietta, alla mamma con la carrozzina.
In Svizzera, gli attraversamenti pedonali sono ben evidenziati, con pedoni che si catapultano letteralmente dal marciapiede alle strisce, senza nemmeno guardare più di tanto ed assicurarsi che le auto rallentino a dovere e si fermino per farli passare. Un po’ un disastro anche questo.
Specie se sei un guidatore come me che deve ancora abituarsi a tutta questa civiltà e magari non inchiodi sulle strisce per farli passare!
Va bene che sono nel Paese delle banche e delle assicurazioni, però ‘sti benedetti pedoni che guardassero, se ci fermiamo davvero, prima di guadagnare l’incrocio, no? No, quasi mai.
Le infrazioni degli automobilisti sono care. Ma il vero motivo di tanta sicurezza sta nei controlli costanti e capillari sulle strade da parte delle autorità della Confederazione.
A me, il sacro timore dell’auto della polizia cantonale o del singolo agente in divisa blu e nera non mi è ancora passato e mai mi passerà, probabilmente.
D’istinto, se li scorgo, faccio un rapido check mentale: “non sto parlando al telefono, sì certo che ho la cintura, mio figlio è sul seggiolino anche se ha già 10 anni (…), la borsa c’è, quindi anche la patente!”
Lo so, è pazzesco, ma hanno questo potere su di me: mi incutono timore e quindi ligio rispetto delle norme.
Come italiani ci potrà pure un po’ far rosicare, ma se qui le cose funzionano meglio è grazie a chi la legge la fa rispettare scrupolosamente, ogni giorno, attraverso tutto questo pacato, gentile controllo, direttamente sul campo.
Gli agenti sono molto, molto, molto attivi e in allerta per il rispetto di tutte le norme del codice stradale: puntuali accanto alle scuole materne ed elementari negli orari di entrata e uscita, sono vigili e inflessibili per i limiti di velocità, il divieto all’uso dei telefoni cellulari in auto, la guida in stato di ebrezza, e, in generale, sono presenti in auto o a piedi in ogni angolo della città!
Le cabine telefoniche
In Italia le cabine ormai sono state abolite e smantellate, anche perché vandalizzate e rese inagibili o non frequentabili nella maggior parte dei centri urbani e periferici dello Stivale.
In Svizzera, le cabine sono rare, ma sempre funzionanti.
Ce ne sono di singolari, accanto a dighe o luoghi di frequentazione pubblica, che non funzionano a gettone, moneta, scheda o quant’altro, bensì “rispondono” ad alzata ricevitore, per casi di emergenza.
Negli altri casi, vista la loro scarsa utilità nell’era dei telefoni portatili, per non buttarle via del tutto sono state trasformate in minuscole biblioteche pubbliche.
Le persone portano dei libri, ne prendono altri, li rendono, il tutto gestito con ordine e pulizia, senza bisogno della supervisione di anima viva.
Iniziativa gradevole specie se la ex cabina è ubicata in zona parco o lago e ti sei dimenticato di portare qualcosa da leggere.
I servizi igienici pubblici
In Italia, a memoria, così, a spanne, direi di non averne traccia. Esistono? Non ne sarei più sicura, ammetto la mia ignoranza. Ignoro se nelle passeggiate, in mezzo ad una strada provinciale, in cima ad un promontorio e ad una zona di alta densità turistica se ne trovino. Ho vissuto in Italia fino ai miei 33 anni e non ne ho ricordo.
Ricordo di aver visto ancora degli antichi “vespasiani” non lontano dalle stazioni di autobus nella Torino degli anni ’90, ma anche tutti i poveri disgraziati che ci ruotavano attorno: per me risultavano inavvicinabili.
Eppure sembrerebbe ce ne siano circa 2000 distribuiti su tutto il territorio, ma dove sono nascosti? In ogni caso, in che stato vengono (o venivano) lasciati?
In Svizzera, se ne trovano lungo il lago, a più riprese in un raggio di pochi chilometri, con la carta igienica nel porta-rotolo, gratuiti e, udite udite, puliti!
Non impeccabili e con i marmi di Carrara, peraltro inutili, come a Dubai, va detto, ma in ordine, frequentabili, con tanto di cestini, lavandini con sapone, asciugamani automatici o con la carta e specchi e muri non scritti e imbrattati.
Un’utopia? Sembrerebbe di no.
Quasi sempre, all’esterno di detti servizi esistono fontane ad acqua potabile. Perché andando a fare una passeggiata viene sete, poi scappa la “bling-bling” e poi si riempie la borraccia di nuovo.
I parcheggi
In Italia, sono pochi o scarsi i parcheggi sotterranei nelle principali città da noi rivisitate.
Troppo pochi quelli sorti nel frattempo, tra quando abbiamo lasciato la patria, 12 anni fa, e il presente. So che abbiamo città bellissime, con patrimoni archeologici unici e non è sempre possibile scavare il terreno e scendere in profondità per costruire parcheggi sotterranei.
Ma non è cosi anche a Parigi?
Perché là è pieno di posti auto nel sottosuolo e da noi non si riesce a camminare bene sui marciapiedi per la presenza di troppe auto parcheggiate?
In certi posti in Italia la gente si scanna per un posto sulla strada, con l’aggravante che le visuali delle vie traverse sono spesso oscurate dalla presenza di auto messe in ogni possibile modo, anche ad angolo, selvaggiamente.
Devo ammettere che a certe scene-oscene di comportamento subumano al volante non sono più abituata.
Fiumi di auto inondano le strade e danno filo da torcere ai passanti, fungendo da vere barriere architettoniche a pedoni e possessori di carrozzine e di sedie a rotelle.
Sono spesso occupate solo da una persona e i guidatori in fila vanno in fibrillazione se metti le quattro frecce ad indicare che aspiri a piazzare la tua auto in quel buco, preso d’assalto, con una serie di manovre di sterzo e controsterzo degne di un contorsionista da circo!
Alla fine uscirai dall’abitacolo sudata e con gli occhi strabuzzanti che chiedono vendetta: guidare in Italia tira fuori il lato più brutto che hai…
Nei casi migliori e accanto ai temuti centri commerciali, i parcheggi esistono ma sono talvolta costituiti da “torrioni” di cemento armato, che deturpano l’entourage del circondario e spuntano da lontano come improbabili funghi nel sottobosco urbano e suburbano.
Una follia edilizia, se pensiamo alla bellezza diffusa del nostro paesaggio e delle nostre città.
In Svizzera, anche nelle città e nelle cittadine piccole e senza grandi pretese, come la ridente Locarno, Lugano, Bellinzona, Losanna, i parcheggi sono sotterranei, a multilivello, a pagamento e custoditi 24 ore su 24, accanto ai punti più nevralgici dell’aria cittadina.
Così concepiti, essi contribuiscono a creare più ordine e agilità nelle strade e nelle vie.
Una considerazione
A dispetto di tutta questa efficienza, va detto d’altro canto che in Italia i rapporti umani avvengono ancora in modo più… come dire? semplice, spontaneo, diretto a volte, ma più schietto di quanto non avvenga qui nella pacifica e neutrale Svizzera.
Per esempio, avete voglia di una bella grigliata e vi comprate un bel barbecue da piazzare in giardino o terrazzo?
Se capitate male in termini di vicinato e quel giorno il vento non gira a favore e alla signora dell’attico il fumo della grigliata ha sciupato l’appetito, in segno di diniego, invece di un sano sbattimento di finestre o battuta diplomatica in ascensore, vi vedrete recapitare una bella letterina come segnalazione, in genere anonima, della vostra mancata delicatezza.
No, non è l’idea di “estero” che prediligo, ma perché la vera difficoltà sta nell’integrazione: un delicato equilibrio tra uniformarsi alle regole, che qui tanto piacciono, apprezzarne e goderne l’efficacia, ed importare una sana e quanto mai necessaria dose di educazione alla diversità.
E qui la storia sarebbe tanto lunga, ma sarà il pretesto per un ulteriore articolo.
Trovare le motivazioni e le strategie per attuare questa estraneità in un paese che mi fa scordare di essere all’estero sarà la missione di questa mia “Locarno, season 2”.
Alla fine, per una miriade di altre ragioni ancora, lo so, io vivo all’estero eccome.
Chi sono
6 Commenti
Andando in Ticino provo anche io la sensazione di nn essere all’estero, mi disorienta un po’ (così come perdere l’anonimato linguistico), poi, peró, ti giri e vedi gli addetti che puliscono, lucidandoli, degli scintillanti cestini della spazzatura e tu resti basita perché il tuo cervello nn riesce a codificare quell’immagine. Giri l’angolo e trovi un altro addetto con tanto di aspirapolvere che raccoglie mozziconi di sigarette e cartacce varie. Il Ticino è l’Italia che potrebbe essere e assolutamente non è.
Un’aggiunta sull’attraversamento pedonale. Nella Svizzera francese non è che si fermano semplicemente, per ripartire aspettano che tu sia arrivato dall’altra parte in tutta sicurezza e tranquillità. Abituata al caos e alla mancanza totale di regole che la fa da padrona a Roma è un gran bel cambiamento. Io comunque prima di attraversare aspetto che si fermino… l’istinto di sopravvivenza, ormai, è troppo radicato in me!
Annalisa,
È vero! Anche io guardo e riguardo quando attraverso. L’abitudine a fare attenzione resta viva! Sono contenta che tu condivida questa visione di strano estraniamento che si prova nel vivere in Svizzera (italiana). E sono purtroppo concorde su quanto dici rispetto a quello che l’Italia potrebbe essere ma che da un lato per fortuna e dall’altro per sfortuna non è.
Un carissimo saluto
Katia
Che bell’articolo… sono curiosa di sentire la season 2 a questo punto!!!????
Cara Valentina,
Della stagione « Locarno2 « sei testimone diretta. La stiamo scrivendo un po’ insieme poco alla volta ????
Amore mio,
Qualunque estero diventa Casa appena la tua solarità illumina il luogo dove viviamo.
Valerio
Vero che non ci mettiamo molto tempo per considerare Casa ogni posto. Ma le sinergie che ci portiamo dentro hanno tutto il merito. Non si tratta solo di me, ma di noi.