Leggere libri … per ricordarci la nostra storia e la nostra identità e renderci ancora più ricettivi alla cultura della differenza.
“Il tempo delle lucciole” è un romanzo di Francesca Gnemmi, edito da Sileni nel 2015.
C’era una volta una bambina che, nottetempo, camminava fra stelle alate le quali si rincorrevano innamorate e, corteggiandosi, splendevano ancora di più, disegnando nel cielo scuro inedite costellazioni.
Potrebbe esordire come una fiaba, il bel romanzo di Francesca Gnemmi, intitolato “Il tempo delle lucciole”, che racconta di un passato non troppo lontano, ossia degli anni della prima metà del secolo scorso, con una tenerezza che profuma di pane, sapone e purezza d’animo.
Erano anni dolci, in cui le famiglie si riunivano in cucina per impastare crostate e sogni pudichi; per cucire corredi e speranze; per leggere un libro su terre lontane o scrivere una lettera a chi è tanto vicino al cuore; per sorridere dell’euforia dei bambini e ascoltare le memorie degli anziani.
Erano anni amari, in cui si salutavano i giovani in partenza per il fronte e si guardavano per anni le sedie rimaste vuote; si affrontava la povertà senza perdere la voglia di concedersi un ballo; non si sfoggiavano abiti da sposa sontuosi, ma i baci scambiati di nascosto facevano sciogliere il cuore nel latte e nel miele; l’autorità paterna era legge tirannica e la forza delle donne stava nel sopportare senza cedere.
La protagonista è Emma, che conosciamo bambina e salutiamo donna, in un iter di formazione intenso, accompagnato dagli stravolgimenti della Storia italiana e da quelli di una famiglia costretta, per l’egoismo di un marito e padre disavvezzo al vero amore, a trasferirsi di città in città, sempre più a nord, fino alle fredde montagne che bucano un
cielo a volte grigio di oppressioni.
Il percorso itinerante, in aborti di nostalgia e parti di integrazione, è delineato in modo estremamente interessante: Emma e Bianca, sua madre, subendo altrui decisione, periodicamente si ritrovano alle prese con una vita da ricostruire dai cimeli estratti da una valigia di cartone e sangue.
L’amore per le proprie radici si fonde con il desiderio di nuova appartenenza, nell’apertura verso culture diverse che vengono introiettate e apprezzate, senza negare chi si è, ma accogliendo chi si diventa.
Gli altri personaggi, che intervengono nella narrazione, sono descritti con meticolosa precisione e credibilità, senza cadere nella facile trappola dello stereotipo che divide, in una dicotomia troppo romanzesca, i buoni dai cattivi e capitola, inevitabilmente, nel prevedibile lieto fine.
Un libro consigliato per rivivere un’epoca che ha, con le sue contraddizioni, dipinto il volto della nostra Italia e per comprendere la figura della donna nell’immaginario collettivo di allora, impastato di tradizione rurale e di ideali fascisti, e ammirare chi ha saputo, a suo modo, dire “no” e percorrere le strade della Storia che è anche la nostra.
Emma Fenu