Tendenze integratrici e disintegratrici.
Che ci facciamo con questa ansia?
Noi tutti abbiamo dei bisogni, ma cosa sono?
Per rispondere a questa domanda, possiamo partire da varie prospettiva e, probabilmente, non vi è una risposta unica.
Oggi, però, affrontiamo l’argomento partendo da Sullivan, uno dei miei studiosi preferiti. Qui non abbiamo tempo di trattare della sua vita appunto perché trovo interessante il suo punto di vista.
Partiamo dall’inizio, dai neonati.
Il neonato per Sullivan oscilla tra uno stato di benessere quasi assoluto e uno stato di tensione (che belli i neonati by the way).
Durante lo stato di tensione si trovano appunto in tensione perché hanno bisogno di qualcosa e attraverso il pianto cercano l’aiuto di un adulto che soddisfi i loro bisogni. Spesso, il pianto tende a provocare una risposta nell’adulto, che si sente gratificato nel soddisfarli. La relazione fra bisogni e risposte è una relazione integrativa per Sullivan, nel senso che produce un senso di soddisfacimento anche in chi soddisfa il bisogno. Il soddisfacimento di bisogni produce complementarità e reciprocità , cioè bisogni in adulti tendono a suscitare bisogni complementari in altri adulti. Any thoughts?
Se devo dire il vero, la prima volta che mi sono trovata a confronto con un tale concetto sono rimasta sorpresa. Il concetto di risposte integrative mi ha colpito. L’esempio tipico di Sullivan è quello di una madre che allatta: il bambino ha bisogno di latte e vuole essere allattato ma la madre vuole anche svuotare il seno.
La domanda che sorge spontanea a questo punto: allora perché l’umanità è un tale pasticcio? Insomma, se c’e’ questa soddisfazione integrativa, perché i rapporti umani sono spesso conflittuali?
Secondo Sullivan, il conflitto è dovuto alla natura contagiosa delle emozioni umani: una persona allegra ci contagia con la sua allegria e siamo tutti allegri.
Le emozioni si diffondono grazie al legame empatico che può portare all’allegria ma anche all’ansia come nel caso di una mamma che gioca con un bambino, il tutto va per il meglio, i due sono allegri, quando la madre riceve una brutta notizia e diviene ansiosa o triste. Ecco il bambino sentirà questa tensione, la esprimerà alla madre reagendo a questo pianto. Magari, poi, succede che la mamma tenterà di calmare il bambino ma porterà con se’ tutta la sua ansia ancora una volta: ecco siamo in un bel circolo vizioso. Insomma non abbiamo solo il soddisfacimento dei bisogni ma anche il contagio da ansia. Infatti se la tensione associata ai bisogni porta a un soddisfacimento a una integrazione o complementarità nell’altro , l’ansia porta a un’escalation.
Quindi, al bisogno segue una tendenza integratrice e all’ansia una disintegratrice.
Sullivan distingue l’ansia dalla paura, considera la prima adattiva e la seconda problematica. La paura provoca pianto, agitazione e anche una reazione nell’adulto.
Secondo Sullivan, il bambino organizza l’esperienza in stati ansiosi e non, come se l’ansia fosse uno spartiacque: qui da un lato vi sono tutte le esperienze ansiose vissute con la madre o con adulti significativi e dall’altro si trova la madre o chi per lei non ansiosa. Durante lo sviluppo il bambino prende parte alle esperienze ansiose o non ansiose in maniera passiva poi inizierà a prevedere quando appare la madre buona o quella cattiva. In un passaggio ancora successivo vedrà la comparsa della madre buona o cattiva come conseguenza del suo comportamento buono o cattivo.
L’ansia non è tutta uguale, varia nell’intensità: a seconda di essa può essere percepita dal bambino come dirompente o meno. Nel caso in cui sia estremamente forte viene dissociata dal resto della coscienza e viene vista dal bambino come esperienza non me, che verrà esclusa dalla sua costituzione del Sé. In ogni caso il bambino diverrà sempre più figlio di determinati genitori, visto che il suo sé si costituisce attraverso le relazioni con gli altri.
Va anche detto che, quando vi è ansia, si attivano bisogni di sicurezza e quindi si attivano quei comportamenti che in passato sono stati efficaci a ridurre l’ansia, sono quelle che Sullivan chiama le operazioni di sicurezza.
In questo post abbiamo parlato di bisogni e di ansia in maniera forse un poco troppo teorica ma non si può sempre includere tutto in un articolo: in ogni caso un poco di teoria ci dà nuovi spunti per guardare il mondo.
Il modello di Sullivan viene detto interpersonale.
Ricordiamo che è morto nel 49 e che, dopo di lui, la psicoanalisi ha avuto altri autori e studiosi che hanno ampliato, unificato ed elaborato altri modelli.
Chi sono