Una madre, tante madri.
Non ho mai avuto il coraggio di scrivere su quest’argomento, avevo paura a parlarne, avevo paura a leggere le mie parole che raccontavano della mia delusione, frustrazione e disillusione, ma ora qualcosa è cambiato.
È per questo che ho deciso di raccontare quello che si nasconde dietro un viso sempre sorridente, delle orecchie sempre pronte ad ascoltare, una bocca sempre pronta a sostenere e un’apparenza sempre forte e spavalda.
Io ho deciso di affidare a questa fine 2020 la sofferenza che mi ha accompagnata per circa 5 anni e di dirgli addio perché non solo sono stanca di sentirmi sbagliata, ma anche perché, come quest’anno agli sgoccioli, anche quella parte di me sta per scomparire, e sono sicura che non la rivedrò mai più.
Nel 2015 mio figlio aveva 2 anni.
Siccome sono sempre stata una persona affamata di vita, di movimento e cambiamento, decisi con mio marito di provare ad avere un altro figlio.
Nonostante gli infiniti tentativi, ogni mese, con una puntualità quasi sarcastica, venivo svegliata bruscamente da tutti i sogni che accumulavo in quei 28 giorni di attesa.
Passa un anno senza risultati e decido di chiedere aiuto al GP, che sarebbe il medico di famiglia in Italia.
Questi mi mette subito in lista per vedere il reparto di endocrinologia e fertilità del Saint John Wood Hospital di Londra, all’epoca vivevo in quella città.
Dopo mesi di attesa, finalmente incontrai la specialista che, alla visione dei miei esami del sangue e ecografia interna, ritenne opportuno sottopormi ad un’ isteroscopia e ad un’analisi delle tube. Mi fu controllata l’ovulazione, mi fu detto di perdere peso, di smettere di fumare, di mangiare sano, di prendere acido folico.
Fu controllato contemporaneamente mio marito che risultò a posto.
Intanto il tempo passava, la mia ansia anche, e noi decidemmo di lasciare Londra. Le mie amiche erano al secondo o al terzo figlio, ed io non riuscivo a non piangere ad ogni annuncio di gravidanza, non riuscivo ad essere felice per loro, nutrivo un senso di inadeguatezza e inferiorità che mi faceva vivere questi rapporti malissimo.
Non ero spontanea, ero arrabbiata con me stessa e con il mio corpo, mi sentivo umiliata nel mio ruolo di madre, e avevo la sensazione che il mondo non perdesse occasione per puntare il dito contro di me.
Ricordo tutti i commenti: ” stai aspettando troppo…”, ” sei egoista, non puoi lasciare tuo figlio solo”, ” com’è possibile che tuo marito voglia solo un figlio?” ” tuo figlio crescerà con dei problemi..”, ” perché non vai in India e fai qualche trattamento ?”. Oppure osservazioni di altro genere, come: ” tu non pensarci che poi arriva”, ” non fissarti altrimenti peggiori la cosa”.
Io ero tutti questi commenti, me li portavo dietro ogni giorno, mi sentivo definita da quella mancanza, da quel non essere come avrei voluto, e tutto era diventato difficile da gestire, anche vedere qualche parente era complicato perché temevo una domanda o un commento.
Mi sentivo sola e isolata, preferivo essere sola che ascoltare le loro voci, odiavo i dottori che avevo incontrato, e così decisi di cercare altrove.
Nel 2017 feci un breve viaggio a Dublino, dove incontrai uno specialista italiano che si occupava di infertilità.
Feci altri test, ancora ecografie, ancora analisi delle tube. Sentii dirmi di nuovo che dovevo dimagrire e diventare super salutista. Mi veniva offerto un ciclo di IVF e mi fu anche detto che avevo poco tempo a disposizione: avevo 38 anni e, se avessi aspettato ancora, avrei dovuto ricorrere all’ ovulo di un altra donna più giovane. A quella proposta, senza esitare neanche un secondo, la mia risposata fu “NO”. Non giudico le donne che decidono di utilizzare questo sistema per diventare madri, sono loro vicina e auguro a tutte loro di riuscire a realizzare il loro sogno, ma io non sentivo che quella strada mi appartenesse, così lasciai Dublino con tanta amarezza e senso di vuoto, ancora una volta.
Non soddisfatta dell’esito di quel viaggio, cercai ancora, e trovai una ginecologa italiana che aveva una clinica a Londra.
La contattai, le spiegai tutto, i miei dubbi, l’IVF offerto e rifiutato, e lei propose di incontrarci per visitarmi ed io mesi dopo, da Edimburgo, mia attuale città, volai a Londra.
Tutte le diagnosi erano uguali, ” unexplained secondary infertility”.
Quindi, per me non c’era un colpevole, era tutto come doveva essere, tutto funzionante, tutto secondo la norma. Eppure, non riuscivo a generare la vita.
A quel punto non hai più nessuna opzione da valutare e nessuna strada da percorrere, devi solo ACCETTARE la realtà.
Tutto questo si è fermato nel 2019: mi sono voluta regalare un po’ di pace e, lentamente, quasi a rallentatore, ho voltato pagina. Il processo che va dall’accettazione passiva alla svolta, ovvero il riprendersi la serenità e la voglia di esplorare lati della tua persona che avevi accantonato nella ricerca ossessiva di quello che non hai, è lungo, ha ricadute e tanti sguardi all’ indietro, ma poi alla fine di quel percorso, incontri la nuova TE, più forte, consapevole e aperta al dialogo.
Io oggi sono lì, ho incontrato la nuova versione di me, e sinceramente sono davvero fiera di lei.
Ha avuto il coraggio di scegliere quello in cui credeva e non è scesa a compromessi, è’ stata sempre fedele ai suoi sentimenti e valori e, anche se non e’ riuscita ad ottenere quello che voleva, di sicuro è diventata una madre migliore, più serena e lucida, più concentrata sull’ oggi e ora, più dedicata al benessere del suo piccolo uomo, di quanto lo fosse mai stata prima.
Ogni donna è una madre, alcune di molti figli, alcune di un unico speciale figlio, e altre sono madri di sé stesse, di quelle bambine che erano e che portano dentro di sé, che accudiscono e amano ogni giorno.
Chi sono