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Vivere all’estero: fortuna e difficoltà

di Annamaria Ronca
Vivere all'estero e ammirare le mongolfiere sul deserto

Fortunata a vivere all’estero? Sì, ma non solo…

Quando racconto dove vivo, mi sento spesso rispondere che sono fortunata. Per alcune persone Dubai è una città conosciuta. Il Paese, in realtà, lo è un po meno: a volte viene confuso con quello vicino. È turisticamente ambita, oltre ad essere un simbolo di ricchezza e di benessere. Sorvolando sull’idea che ognuno ha di un determinato Paese, da qualche tempo rifletto sulle difficoltà che si vivono lontano da casa. Sono difficoltà che nessuno vede o che, probabilmente, siamo noi stessi a non voler mostrare.

Tiriamo le somme..

Giorni fa tiravo le somme degli ultimi cinque anni. All’arrivo negli Emirati avevamo già due bambini di cui una neonata e, nel giro di poco, è arrivato, inaspettatamente, il terzo. Tutto ciò, unito all’avvento del Covid-19, ha radicalmente cambiato i nostri piani. Non ho potuto lavorare per tre anni, sia per assistere e godermi i figli piccoli, sia perché non era facile trovare un lavoro adeguatamente retribuito rispetto alle ore di assenza da casa. Abbiamo, mio marito ed io, deciso di non prendere nessun aiuto esterno e portare avanti la famiglia con le nostre forze.

Tutte le attività che sono riuscita a svolgere sono state deliziate dalla presenza di mia figlia oppure del più piccolo. Questi, a seconda del periodo, se la ronfavano in passeggino oppure nel marsupio. Quali erano queste attività? Ebbene: ho assunto il ruolo di governor a scuola del mio figlio maggiore e ho partecipato partite di badminton. Inoltre, ho preso anche parte a un gruppo di uncinetto. Ho dovuto fare anche delle rinunce, ovviamente, perché non compatibili con modalità e orari adatti a bimbi piccoli. Niente squadra di dragon boat, ad esempio, e niente tiro con l’arco, ripreso da poco con mia grande gioia. Ogni volta che accompagnavo il grande a fare sport mi caricavo gli altri due in taxi o in auto, con annesse borse di ricambio, passeggino e quant’altro. Mi toccava insomma pure fare i conti con intrattenimento, snack, cacche e pipi.

Vivere all’estero tra tempo libero e bimbi piccoli

Ogni weekend per noi ha significato dover pensare ad attività con e per i bambini. Noi adulti, per parte nostra, ci siamo concessi i ritagli di tempo. Se qualche volta che ci andava di andare a cena fuori, ad esempio, ci siamo portati i figli dietro. Non siamo mai potuti andare al cinema o a ballare. Non abbiamo potuto viaggiare in determinati paesi. Ci siamo detti, ogni anno, che dovevamo fare ancora qualche sacrificio prima di poterci concedere del tempo per noi. Prima che i bambini fossero in grado di parlare e spiegare, grandi abbastanza da poter restare con una babysitter di tanto in tanto. Prima che potessimo fidarci noi di qualcuno che non fosse di famiglia.

Vivere all'estero ti fa scoprire skyline meravigliosi, come questo di Dubai

Lo stesso vale per la routine settimanale. Sveglia prima delle sei, preparazione di snack e pranzo al sacco, uniformi pronte. Ci mettiamo in auto alle sette e abbiamo bisogno di mezz’ora di autostrata per arrivare fino alla scuola. Drop off e hop, ritorno verso l’asilo del figlio più piccolo. Quindi drop off alle otto. Nei giorni in cui lavoro aspetto in caffetteria, quando fa troppo caldo, prima di iniziare alle nove. Se i figli si ammalano resto io a casa, ergo niente retribuzione. Se mi ammalo io pazienza, si va avanti. Il brodo caldo me lo cucino da sola oppure  lo devo ordinare al ristorante (cosa che non faccio per un semplice brodo). Se il lavoro di mio marito prevede periodi in un altro paese del GCC, dobbiamo fare i conti con la distanza.

Sarebbe tutto piu semplice se avessimo la famiglia dietro l’angolo. Avremmo qualcuni a cui chiedere di poter tenere i bambini per qualche ora. Sarebbe piu semplice mangiare la cucina di mia madre e di mia suocera quando non ho voglia di preparare per tutti con età e gusti diversi. Poteva essere ma non è.

Al di là della fortuna

Quando mi dicono che sono fortunata a vivere all’estero sono effettivamente d’accordo. I miei figli hanno potuto vedere quanto di bello c’è negli Emirati,. Ne apprezzano la diversità linguistica, culturale, culinaria e religiosa. Io posso parlare quotidianamente 3 lingue, invece, e studiarne una quarta. Nonostante segua da sempre la filosofia del “c’è chi sta peggio”, ammetto però che la “fortuna” ha  un prezzo: quello del sacrificio. Quel lato oscuro che nessuno vede e che noi expat non amiamo mostrare.

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