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La zia straniera (Integrarsi nel Regno del Centro)

di Alessandra Nitti
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La zia straniera

(Integrarsi nel Regno del Centro)

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La Cina è il mondo degli opposti, diceva Herbert Allen Giles, professore di sinologia all’Università di Cambridge nel 1902 quando l’Impero cinese, vecchio di duemila anni, emetteva il suo canto del cigno.

In particolare raccontava di come gli stranieri si lamentassero dei coolies, i guidatori di risciò, i quali non si spostavano quando i primi dovevano passare. Scontri culturali che negli ultimi cento anni non sono cambiati di molto. Credo che il più grande ostacolo all’integrazione in Cina sia provare a rendere proprio il loro modo di pensare, che per noi è alla rovescia.

Perché la Cina ci è talmente lontana, anche oggi nonostante la globalizzazione, che si rimane sempre stranieri.

Non c’è nulla da fare (mei you banfa, come si dice qui): anche nelle megalopoli di diversi milioni di abitanti, i cinesi ti fissano dritto nelle pupille per i tuoi occhi tondi e i tuoi lineamenti esotici.

Senza pudore ti fanno sentire un animale allo zoo: c’è chi ti chiede di fare una foto insieme e chi la scatta senza permesso, a volte anche strattonandoti verso la fotocamera; ci sono genitori che ti indicano ai figli dicendo: “guarda la zia straniera” e bambini che ti ronzano intorno cantilenando hello, hello; ci sono i tuoi stessi studenti che i primi giorni ti guardano a bocca aperta mormorando tra loro commenti sul tuo accento e sul tuo modo di insegnare così diverso da quello al quale sono abituati.

Una volta rotta la loro “cinesità”, possono essere gli studenti più affettuosi del mondo

Uno ci deve fare l’abitudine, qui in Cina, o impazzisce. Per noi questi comportamenti potrebbero sembrare maleducati o irrispettosi, ma per i cinesi non c’è nulla di offensivo in tutto ciò, al contrario ti ammirano per essere così simile a quelli dei film, vogliono una tua foto per far vedere che conoscono un occidentale, ti riempiono di complimenti (in Cina l’autostima è sempre a mille) e di birra o succhi di frutta se si è in un locale perché tutti quelli dei tavoli attorno vogliono fare amicizia con te.

Né la distanza né il tempo né la cultura possono distruggere certe amicizie

Nelle città più grandi, come a Pechino e Shanghai, questi comportamenti stanno diminuendo.

A Canton, nonostante sia pieno di stranieri, c’è ancora chi si avvicina per farsi un selfie con te (a dir la verità molti meno di sei anni fa, la prima volta che sono arrivata in Cina). Se si va nelle città minori, invece, è un continuo hello, hello anche da parte degli adulti.

Un altro impedimento all’integrazione sono alcune abitudini qui socialmente accettate ma condannate in Europa, come raschiarsi la gola con rumore e sputare a terra, starnutirti e tossirti in faccia nelle affollate metropolitane, ruttare nei ristoranti e in classe, cose che fanno rabbrividire chiunque decida di passare per il Regno del Centro.

Alla fine, però, ci si abitua anche al vecchietto che ogni mattina ti sveglia alle 6.49 perché si ripulisce la gola proprio dall’altra parte della parete.

Chi si vuole integrare deve sottomettersi ai rumori molesti, alla persone che si puliscono le orecchie con il mignolo in autobus o a quelli che ti dormono addosso in metropolitana, schiacciati dalla folla di una città di 18 milioni di persone; deve anche imparare che le strisce pedonali sono fatte sì per gli appiedati, ma passano prima le macchine, proprio come raccontava un secolo fa Giles: prima le portantine con il signore, poi le portantine vuote, poi i coolies e per ultimi i pedoni.

Questo è lo sforzo che dobbiamo fare noi perché i cinesi, sebbene per loro rimaniamo sempre dei waiguoren (stranieri), ci accettano fin da subito e lo si capisce dalle persone che, vedendoti perso nelle strade trafficate, decidono di accompagnarti a destinazione, dagli studenti che ti offrono cibo fatto con le proprie mani, dagli amici che se hai bisogno di aiuto non ti abbandonano mai, anche se non vi siete visti per cinque anni. 

Di te nessuno si dimentica, qui.

Forse è difficile integrarsi del tutto e a volte sembra di impazzire per la folla e per le strane abitudini, ma nella vita quotidiana le persone comuni, in Cina, hanno molti meno problemi con gli stranieri di quanti ne abbiano noi in Italia.

L’hot pot, il modo preferito per stare tutti insieme

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2 Commenti

Rossella 07/07/2019 - 12:49

Ciao Alessandra,
Ti ammiro molto sai. Vedo che anche tu, come me, guardi al lato positivo del paese che ti sta ospitando. Io ho fatto di recente un viaggio a Pechino (con il mio ragaxxk olandese che è stato fotografato come un divo di Hollywood XD) e ho riscontrato tutte queste cose che hai descritto nel tuo bellissimo articolo. È stato un viaggio affascinante ma allo stesso tempo è stata la prima volta, in tutti questi anni di visite nei paesi più disparati, che non vedevo l’ora di ritornare a casa. Penso che per un europeo le loro abitudini igieniche siano qualcosa dell’altro mondo con cui io non riuscirei mai a convivere. Quindi tanto di cappello a te che ci stai riuscendo e pure integrando in una società così distante dalla nostra.

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Alessandra-Cina 08/07/2019 - 02:41

Ciao Rossella,
intanto grazie per aver letto l’articolo.
Eh, Pechino è ancora più tosta del Sud dove sono io. Meno pulita, più incasinata, i turisti vengono più fotografati nonostante sia la capitale.
È un mondo affascinante e di sicuro non ci si annoia mai, ogni giorno capitano cose assurde.
Ma non posso negare che a volte sono stufa degli scarafaggi in ufficio e dei ratti nel palazzo. Proprio ora sono reduce da un’intossicazione alimentare. Non voglio neanche sapere che ho mangiato!
E sì, per un’europeo è dura. Credo che la formula vincente sia prenderla a pezzi. Questo è già il mio terzo giro in Cina. Meglio alternare a volte!

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